Tra i gruppi “strani” che mi è capitato di incontrare nella mia “carriera di scrittore metallico” gli
Epistasis meritano senz’altro un posto di tutto rispetto non fosse altro che dal moniker mi aspettavo di trovarmi di fronte alla cento miliardesima brutal gore splatter vaginal addicted band e invece … invece è un bel casino riuscire a dare una etichetta univoca a questo combo newyorkese.
Certo la band a livello stilistico ama svariare a più non posso e così dopo aver dato alle stampe un paio d’anni orsono un debut album che spaziava dal rock progressivo al jazz passando per inserti più estremi, oggigiorno ci troviamo di fronte ad un Ep che in 26 minuti ci porta in un vortice di pura follia, dove la voce della cantante Amy Mills (già alle prese dietro il microfono per
Couch Slut) ci propina una serie di strazianti vocalizzi che ben poco hanno a che vedere con le classiche melodie celestiali che siamo soliti abbinare a delle female singer, ma lo screaming di
“Finisterre” è talmente sofferto e “diabolico” che farebbe invidia a molto colleghi maschi in vena di black metal.
“Finisterre” nei suoi sei minuti di durata è un po’ l’emblema della nuova svolta sonora del gruppo, infatti in questo pezzo possiamo trovare tutto lo spettro estremo di cui ama cibarsi in questo momento la band e che da più parti è stato definito come experimental black metal … Sinceramente ho tutt’altro concetto del black metal che difficilmente riuscirei a parlare degli Epistasis come di una black metal band, per quanto sperimentale, infatti vocals a parte, non c’è niente altro che possa rimandare al gelido sound dei fiordi, più che altro potremmo parlare di un extreme noisy metal con venature sludge che poggia su intricati e cervellotici riffs death metal spezzati da atmosfere rarefatte e passaggi ambient (a tal riguardo ascolto obbligato per
“Candelaria” e
“Grey Ceiling”). A tutto ciò aggiungeteci la “trombetta” della stessa Amy e il mal di testa sarà completo … Non c’è dubbio che il sound del quartetto non si distingue certo per facilità d’approccio e sarà pane per i denti di tutti coloro che amano l’estremismo meno codificato. Dopo numerosi ascolti sono giunto alla conclusione che
“Light Through Dead Glass” è un (mini) album che merita sicuramente una chance, difficilmente potrà piacere a prima impatto e sinceramente nutro le mie riserve verso un futuro full lenght ( sarebbe veramente difficile riuscire a seguire la follia delirante del quartetto per più di una mezzoretta) che in quanto ad idee e trovate è sicuramente prog, se per prog si intende voglia di andare fuori dagli schemi e stupire ad ogni costo, con in più un forte senso di cacofonia a permeare tutto il tessuto sonoro. Per pochissimi temerari …
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