Strano gruppo gli
Holy Moses… Nonostante non abbiano mai raccolto consensi unanimi e costanti, non si sono mai dati per vinti, grazie soprattutto alla caparbietà della mitica Sabina Classen, una che c’ha più palle di molti suoi colleghi maschietti, poco ma sicuro… Li avevamo lasciati alla mega compilation celebrativa per i trent’anni di carriera, nella quale, con la nuova formazione, rinvigorivano i loro classici. Beh, a quanto pare il gruppo proprio non riesce a trovare pace, visto che oltre alla leader storica Sabina, anche di quella line up è rimasto un solo elemento, e cioè il bassista Thomas Neitsch. Assoldati Peter Geltat alla chitarra e Gerd Lucking alla batteria, i nostri sono pronti per l’ennesima ripartenza, e lo fanno alla grande con il nuovo album “Redefined mayhem”, l’undicesimo della loro carriera, e il primo in studio dai tempi di “Agony of death”, che è addirittura del 2008.
L’album non si discosta molto dai canoni qualitativi che hanno sempre contraddistinto la band, il che significa che non è certo un capolavoro, ma è ben al di sopra della media delle uscite attuali, soprattutto per quanto riguarda il filone del thrash revival. La nuova linfa vitale portata dai due nuovi arrivati si fa sentire eccome, in quanto le canzoni suonano tutte fresche, con pochissimi cali, se non, come sempre, verso la fine dell’album. Devo ammettere che ero abbastanza scettico prima di iniziare l’ascolto, invece mi sono subito dovuto ricredere, grazie a una serie di pezzi scoppiettanti, che infiammano da subito gli animi. Parlo, per esempio, di “Hellhound”, di “Undead dogs”, o di “Process projection”, che mostrano una band rinnovata negli animi, e in parte anche nel sound.
Le caratteristiche principali dei questo nuovo capitolo, infatti, sono un lieve allontanamento dall’hardcore, che ha da sempre caratterizzato il suono della band, a favore del thrash metal più nudo e crudo, e soprattutto l’inserimento di nuove soluzioni armoniche, che senza snaturare il trade mark del gruppo, riescono a rinnovarne lo stile, rendendolo attuale, ma sempre fottutamente thrash. L’impatto è micidiale, i brani sono tutti macigni che ti frantumano il cranio, sia quelli più veloci, sia gli episodi più lenti e morbosi (“Into the dark”, “One step ahead of death”).
In entrambi i casi spicca la prova vocale di Sabina, sempre più aggressiva, sempre più convinta delle proprie capacità e della sua creatura musicale, un vero esempio di coerenza, umiltà e orgoglio, come pochi ce ne sono nell’attuale scena metal. E allo stesso tempo vi accorgerete di come il songwriting sia vincente, Holy Moses al 100%, ma particolare e personale. E questo, in un periodo in cui le band suonano tutte uguali, se permettete è già un grosso elemento a favore…
Per finire, segnalo la doppia copertina (CD/LP) con la quale l’album verrà pubblicato. Sinceramente non ne ho capito molto il senso, visto tra l’altro che quella dell’LP è nettamente più bella, ma vabbè, si sa che ormai le case discografiche se ne inventano di tutti i colori per spillare soldi ai collezionisti e ai completisti… A voi la scelta…
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