Ecco il secondo dei due top album che, se non fosse finito sciaguratamente sepolto nei meandri del mio pc, sarebbe finito nella top ten di fine anno del 2013. I
Mombu sono Luca Mai, sassofonista degli Zu e Antonio Zitarelli batteria dei Neo. Chi conosce gli Zu ha presente la loro forte derivazione Mr. Bungle, che si ritrova anche qui fin dall'attacco dell'omonimo primo pezzo, insieme alle ritmiche tribali africane rituali e al grind. Avant prog, jazzcore, post noise rock... Per definire questo connubio di elementi sono stati coniati una sfilza di termini, che vengono arricchiti dai Meshuggah; le ritmiche dei Mombu li ricordano spesso, condividendone anche la costruzione matematica, e le sonorità associate danno al tutto un senso di perfezione gelida e aliena (gelido e alieno non vuol dire freddo e inespressivo, ovviamente). Guarda caso, pare che i Meshuggah abbiano ascoltato
Niger e lo abbiano apprezzato moltissimo. Mi vengono le vertigini anche solo a pensare di suonare queste ritmiche spesso disarticolate e spezzate. Bellissimo il sax, con un suono cupo, dissonante e abrasivo come carta vetrata. La voce è assente, ad eccezione dei rituali recitati in
Mighty Mombu e
Carmen Patrios in una lingua che viene da lontano, suggestiva unione di primitivo e urbano. La chitarra elettrica è un elemento
dell'insieme, che contribuisce a creare cupe distorsioni o, come in Seketet, si accompagna a partiture jazzate, rendendole pompate e d'impatto. Di certo non è un lavoro di facile fruibilità, anche per la mancanza di linee melodiche propriamente dette. A loro modo i Mombu hanno scattato una foto che sembra voler mostrare qual'è il senso della multiculturalità: una babele in spazi di cemento e asfalto, dove il frastuono copre gli echi del sacro e idiomi
stranieri continuano a recitare i loro mantra solitari, cercando disperatamente di farsi sentire.
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