Copertina 7,5

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2014
Durata:57 min.
Etichetta:Moribund Records

Tracklist

  1. BECOMING MEANINGLESS
  2. MANIC EUPHORIA
  3. THE SINISTER SHINE
  4. BLOOD OF THE HERMIT
  5. PAIN AT LEAST...

Line up

  • Shatraug: all instruments, vocals

Voto medio utenti

Misantropia portami via!
Ancora intento ad assorbire le malevole vibrazioni dell’ultimo, fenomenale Feeding the Crawling Shadows dei Sargeist, mi ritrovo tra le mani un bel dischetto del progetto Mortualia. Il trait d’union che lega i due gruppi, come forse saprete, s’incarna nella figura del finlandese Shatraug, personaggio misterioso, schivo, per certi versi discutibile ma che, come artista, ha da sempre tutta la mia ammirazione.

Avevo apprezzato non poco l’omonimo debut dei Mortualia (risalente al 2007), motivo per cui mi sono approcciato con curiosità e fiducia al suo successore, scoprendo così che le registrazioni risalgono addirittura al 2010, ma vengono oggi (ri?)pubblicate dall’attenta Moribund Records. Ottima idea: Blood of the Hermit ha tanto, tantissimo da offrire per i (pochi, ahimè) amanti di certe sonorità.

Sonorità che ricondurrei senza particolari tentennamenti nel filone DSBM; anzi, i canoni che codificano il depressive (o suicidal, come preferite) black metal vengono qui sublimati e portati alle estreme conseguenze. Infatti, nell’ora scarsa di durata del platter trovano spazio solo cinque, lunghissimi brani contraddistinti da tempi medio/lenti, minimalismo estremo, giri di chitarra basilari e riproposti sino al punto di non ritorno, melodie decadenti imbibite di tristezza, sezione ritmica ai minimi termini, arrangiamenti non pervenuti e produzione sporchissima. Su questa valle di lacrime sonora si stagliano le urla di Shatraug, talmente folli e strazianti da far accapponare la pelle.

Questo è quanto.
Niente track by track per un album simile, non avrebbe senso.
Posso quantomeno aggiungere che grazie a Blood of the Hermit vi sarà concessa un’opportunità rara: quella di toccare con mano tutta l’afflizione e il dolore del compositore. Il che, se mi permettete, non è poco in una scena zeppa di dischi insinceri e artefatti quanto gli zigomi di Carla Bruni.

Se ci riuscirete, verrete risucchiati in un vortice immoto di rassegnata sofferenza, e saprete trarre da ciò soddisfazioni impensabili.
Diversamente, credo sia giusto segnalarlo, vi frantumerete gli zebedei dopo pochissimi minuti a causa della semplicità, della monotonia e della ripetitività della proposta, e sentirete l’irrefrenabile esigenza di spararvi a tutto volume gli Enforcer o gli Airbourne.

Io fossi in voi un tentativo lo farei…
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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