"The King of the Elves..IS BACK!"
Potrei chiudere qui questa recensione, con la frase di cui sopra, summa di quello che "
The Pagan Manifesto" è per gli
Elvenking, piazzando al disco un voto altissimo e tanti saluti. Potrei appunto, ma non lo farò perchè questo nuovo album dei friulani, ottavo della loro discografia, merita di essere esaltato a più riprese e non "semplicemente" etichettato come un album della madonna.
Piccolo excursus storico-sociologico: esistono band (finlandesi, ad esempio) che all'inizio della loro carriera portano avanti un genere preciso, distintivo, tipo chessò..il power metal. Poi logiche di mercato, gusti personali o altro spingono queste band a cambiare direzione, virare verso generi diversi, a volte in maniera positiva e a volte no. Che succede a questo punto? Succede che i fan di vecchia data si scazzano e che la band parte coi soliti proclami "
Torneremo a fare del buon vecchio (esempio sempre casuale) power metal!", salvo poi propinarci un disco uguale ai precedenti, nel quale del tanto sbandierato ritorno alle origini non c'è proprio traccia.
Esistono queste band..e poi esistono gli Elvenking.
Cosa fanno loro? Semplice, fanno un clamoroso disco d'esordio puramente folk metal come "Heathenreel", a cui fa seguito un ottimo disco come "Wyrd", nel quale già alcune cose erano cambiate, poi piano piano virano verso sonorità diverse, incorporando sempre una certa quantità di folk ma lasciando maggior spazio a suoni più moderni. Dischi moderatamente differenti tra loro, ma sempre di ottima fattura a differenza degli esempi di cui sopra.
Poi però arriva "
The Pagan Manifesto" e tutto cambia, perchè in silenzio e senza proclami e sbandieramenti gli Elvenking tornano a fare quello che gli è sempre riuscito meglio, ovvero quel folk metal puro delle origini, di discendenza Skycladdiana (passatemi il neologismo), riprendendo pienamente in mano un discorso lasciato un po' in disparte.
E lo fanno producendo quello che rischia davvero di essere il disco più bello e completo della loro discografia, vero "manifesto" (mai titolo fu più azzeccato, come per "Era" per motivi differenti) di un movimento del quale gli
Elvenking si ergono a più fieri paladini, in Italia e nel mondo intero. Un disco di una bellezza abbacinante, che ti stordisce con un connubio perfetto di modernità e tradizione, così smaccatamente figlio di "Heathenreel", col quale condivide in maniera netta quell'anima puramente folk che si era un po' smarrita negli anni.
Già l'intro strumentale "
The Manifesto" lasciava trasparire qualcosa di nuovo e allo stesso tempo antico, facendo il paio con una copertina MERAVIGLIOSA (questa si la più bella della discografia sacilese, senza ombra di dubbio) e con titoli dei brani quantomai rivelatori.
Poi parte l'antemica "
King of the Elves" e, diamine, c'è qualcosa di strano: inizio pestatissimo e devastante, strofa "moderna"..che mi sia sbagliato? Ho preso un abbaglio? Macché, bastava solo un po' di pazienza, 1 minuto e 47 secondi per la precisione: stacco tipicamente folk, apertura ariosissima seguente e il brano muta forma, come se i primi minuti fossero semplicemente l'incipit di un viaggio indietro nel tempo, un ponte di collegamento necessario tra gli ultimi lavori e il pluricitato esordio. Da li in avanti è un susseguirsi di emozioni e di gioia per l'udito, che sfocia nella frase con la quale ho aperto la recensione, "
The King of the Elves is back!", cantata quasi fosse un urlo liberatorio. Il brano poi riesce a stupire ancora, travestendosi un'altra volta ancora attorno al sesto minuto, in un crescendo di meraviglia e sorprese da far venire la pelle d'oca a chiunque abbia seguito in toto l'evoluzione degli Elvenking. Ah nel finale c'è pure spazio per la splendida voce di Amanda Somerville, proprio per non farci mancare niente.
La successiva "
Elvenlegions" suona esattamente come un richiamo alle armi per coloro i quali hanno seguito l'evoluzione di cui sopra, sostenendo la band fin da principio, facendo parte di quel nutrito gruppo di fan che attendeva da tempo questo silenzioso ritorno alle origini.
Da li in avanti è un susseguirsi di brani uno più bello dell'altro, senza un singolo momento di pausa, sia che si parli di brani puramente power/folk come la bellissima "
Twilight of Magic" sia che si passi a una ballad lievissima come "
Towards the Shores". Bellezza, stupore, meraviglia, splendore e pelle d'oca senza soluzione di continuità, tali per cui sono arrivato al punto di "sperare" che il disco finisse per non permettere a un brano mediocre di intaccare il valore assoluto di "The Pagan Manifesto".
Ma questo brano non è mai arrivato e, anzi, il disco perfetto si chiude con una canzone meravigliosa quale "
Witches Gather", nella quale troviamo anche alcune azzeccatissime parti in growl e scream, che non fanno altro che elevare ancor di più il giudizio su un disco che, se supererà la prova del tempo, diventerà senza dubbio il punto più alto mai raggiunto dagli Elvenking, almeno per il sottoscritto.
Bene, ve l'avevo detto che sarebbe stata una sequela di complimenti senza fine..d'altronde quando uno se li merita è impossibile lesinare. Sarebbe scorretto nei confronti di una band che è riuscita a mantenersi negli anni sempre sulla cresta dell'onda, senza snaturarsi eccessivamente ma mutando forma, arricchendosi e imparando. Complimenti agli
Elvenking allora, perchè con "
The Pagan Manifesto" hanno scritto l'ennesima pagina della Storia (con la S maiuscola) del metal tricolore.
Quoth the Raven, Nevermore..