Copertina 5,5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2014
Durata:39 min.
Etichetta:Dark Descent Records

Tracklist

  1. GO AND HOPE
  2. NOTHING BUT THE WHOLE
  3. BEHIND THE CURTAIN
  4. ALL IS KNOWN
  5. TALE OF A BURNING MAN
  6. THE PAST IS DEAD
  7. LOWLAND

Line up

  • Phorgath: bass, vocals
  • Jonas Sanders: drums
  • Olve j.LW: guitars: vocals
  • Phil Pieters Smith: guitars

Voto medio utenti

Basta!
Come esclamò nel ’93 il nostro ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: “A questo gioco al massacro io non ci sto”.
Da giorni e giorni ormai tento di entrare in sintonia con l’ultimo parto degli Emptiness, di coglierne l’elusivo fascino, di farmi ammaliare dalla sue tenebrose spire… e invece niente da fare: dopo le innumerevoli chances concesse mi vedo costretto ad alzare bandiera bianca.

Sulla carta, il neonato della formazione belga godeva di ottime credenziali: avevo apprezzato la svolta del precedente Error (2012), album capace di iniettare una massiccia dose di virus destrutturante nel classico sound in bilico tra death e black apprezzato in Guilty to Exist (2004) e Oblivion (2007), avvicinandolo così alle sghembe scorribande dei Portal.
Oltre a ciò, speravo che lo stato di salute degli Enthroned, evidenziato dal recente e notevolissimo Sovereigns, si riverberasse positivamente anche sulla seconda band di Phorgath e Olve J.LW (che altri non è se non Neraath).
Da ultimo, ci ha pensato l’inquietante artwork ad affascinarmi. Ma ahimè, si sa: non si giudica un libro dalla copertina…

Vengo al dunque: Nothing but the Whole è uno dei dischi più impalpabili e dispersivi che abbia ascoltato negli ultimi mesi. Rimane strisciante e subliminale lungo tutto l’arco dei suoi 40 minuti, sussurra più che urlare e suggerisce più che mostrare. L’impressione è che in fase di composizione si sia cercato di congegnare a tavolino il mood più tenebroso e cupo possibile; lo sforzo, tuttavia, ha condotto a un risultato finale privo d’impatto, troppo frenato, costruito e concettuale.
Un risultato finale che non è black, non è death, non è doom, non è industrial e non è post rock, pur attingendo da ognuna di queste correnti, e che lascia l’amaro in bocca nonostante gli ottimi arrangiamenti e la superba produzione.

Vi è mai capitato di assistere a uno di quegli horror atmosferici lentissimi in cui il pathos monta pian piano, pian piano, pian piano… finché arrivano i titoli di coda e vi accorgete che di fatto non è successo nulla?
Ecco, io provato una sensazione analoga ascoltando Go and Hope, la title track o Lowland; brani dotati di potenziale, capaci di gettare le fondamenta ma non di terminare il lavoro, venendo così trascinati nella mediocrità dal titubante incedere di Behind the Curtain, dal pretenzioso tedio di All Is Known e dall’involuta ripetitività di Tale of a Burning Man.

Tirando le somme abbiamo a che fare con un album di transizione, che se non altro porta con sé un prezioso insegnamento: se non si è baciati dalla Dea dell’Ispirazione, meglio non recitare la parte degli intellettualoidi spirituali, o si rischiano magre figure.

Mi spiace. Non si può dire che non ci abbia provato, e non escludo affatto che alcuni di voi possano apprezzarlo, ma Nothing But the Whole resta per me un’occasione mancata. La vita va avanti, e c’è da recensire il nuovo Mayhem… giusto per restare in tema di occasioni mancate.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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