Progressive rock libero e senza confini, proposto da una band i cui membri arrivano da esperienze diverse, che ovviamente padroneggiano lo strumento con rara maestria.
Sui siti specializzati in progressive sono acclamati come dei e il disco viene censito a pieni voti. Poi arrivo io, che giusto un pochino di prog nella mia vita l’ho masticato e gli piazzo un glorioso 5 in pagella. Perché?
Amici miei, ci sono tanti tipi di progressive. Quello che ti esalta al primo ascolto, quello che ti fa riflettere, quello che ti fa piangere, quello che ti fa ridere nervosamente, quello che ti fa incazzare per quanto è perfetto e (spesso) inarrivabile. C’è quello roccioso, quello moscio, quello né carne né pesce. Insomma, ce ne sono di progressive che si possono incontrare.
Quello dei Perfect Beings ha un inizio spiazzante, quasi “zappiano”: attitudine scanzonata, paiono perfino sconclusionati in alcune iperboli. Poi piano piano il disco prende forma. Lo ascolti una, due, tre volte…e alla fine il giudizio è, semplicemente, questo: lo hanno già fatto. Molto meglio di così.
Un giudizio che si potrà anche applicare a ben più della metà di ciò che sentiamo oggi, ma ci sono tanti “se” e tanti “ma” da mettere. A mio parere questo è un disco eccessivamente pretenzioso, da intellettualoidi. Il progressive fatto col cuore è un’altra cosa: io cerco quello.
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