Ed ecco qui, pronto per voi, un bel carico di allegria cortesemente offerto da uno spensierato duo austriaco! Il quale, dopo aver optato per un moniker che si ispira al suicidio rituale cui ricorrevano i samurai, sceglie per titolo il nome di una località nei pressi del Monte Fuji ove ogni anno decine di persone si recano per togliersi la vita.
Artwork (raffigurante un povero animaletto intento ad abbandonare le proprie spoglie mortali) e impianto lirico non fanno granché per migliorare la situazione, tentando in ogni modo di annegarci nelle torbide acque della depressione, dell’inadeguatezza, della malinconia e del senso di perdita (
69 Dead Birds for Utoya s’intrattiene addirittura sullo scellerato omicidio di massa perpetrato da
Anders Breivik nel luglio 2011).
L’apparato musicale, considerate le premesse, non può che inserirsi nel sempre più congestionato filone del post-depressive black metal, in questa sede particolarmente ingentilito da aromi shoegaze che i fan dei primi
Alcest sapranno senz’altro apprezzare e da un gusto per le melodie chitarristiche che media tra la rassegnata indolenza dei
Katatonia e la sognante frenesia dei
Deafheaven.
La pulizia dei suoni e le vocals del singer
J.J., mai troppo estreme e dotate di un acre retrogusto *core, non fanno che dirozzare un sound in definitiva accessibile.
Se nel 2012 vi eravate imbattuti nel notevole debut degli
Harakiri for the Sky, vi renderete conto di come
Aokigahara non faccia nulla, ma proprio nulla, per allontanarvisi. Dunque, anche in questa seconda prova lo spettro sonoro coperto dai Nostri resta limitato: impiegherete poco ad accorgervi che le soluzioni compositive si ripetono con una ostinazione degna di miglior causa.
Per fortuna i singoli episodi, sorvolando su un minutaggio spesso eccessivo alla luce della semplicità strutturale degli stessi, paiono pressoché inattaccabili. Eppure, mi sembra manchi in modo chiaro il tormentone in grado di spappolarti davvero il cuore, di rovinarti preventivamente l’estate e di ricordarti in un sol colpo tutti i due di picche subiti in tanti anni di onorata (?) carriera. E, quel che più conta, in grado di trascinare gli
Harakiri for the Sky fuori dalle pastoie dell’underground.
Canzoni come
Burning from Both Ends o
Jhator ci provano, ma purtroppo arrivano col fiato corto sul più bello e si arrestano a pochi passi dal traguardo dell’eccellenza. Né aggiungono granché le comparsate di alcuni guest (tra cui
Torsten dei fantastici
Agrypnie) e la bonus track, che non convince sino in fondo.
Mad World dei
Tears For Fears (gran brano, se mi è concesso) viene riarrangiata e rielaborata con gusto… peccato che lo screaming applicato alla timida linea vocale della strofa c’entri come il salamino piccante con lo zabaione. Tant’è.
Aokigahara è un buon lavoro, ma nulla di imprescindibile. Sappiate, se deciderete di farla finita, che si possono trovare colonne sonore più appropriate.
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