“
Certi amori non finiscono
Fanno dei giri immensi e poi ritornano”
Antonello Venditti -
Amici Mai (1991)
Mi piace sperare che gli svenevoli versi del cantante romano si rivelino veritieri; ad oggi, tuttavia, non so se tra me e i
Mayhem potrà mai tornare l’idillio di metà anni ‘90.
Questione di aspettative tradite, di promesse non mantenute, di attese mal ripagate.
Dopo aver venerato
De Mysteriis Dom Sathanas come una sorta di entità ultraterrena, decisi di sposare la causa della band norvegese senza se e senza ma.
Purtroppo, come accade in tanti matrimoni celebrati in modo frettoloso, le magagne vennero a galla poi.
Così, mi autoconvinsi che avvicendamenti nella line up, arresti e omicidi non avrebbero intaccato la grandezza della band, accolsi con entusiasmo il ritorno dietro al microfono di
Maniac e apprezzai l’aggrovigliata violenza dell’EP
Wolf’s Lair Abyss, pur percependo tra me e me che il feeling del predecessore restava inarrivabile. Mi sforzai poi allo spasmo, e infine riuscii, a farmi piacere l’altalenante
A Grand Declaration of War, pensando che quelle sperimentazioni così bislacche sarebbero state prodromiche ad entusiasmanti sviluppi futuri.
Poi, nel 2004, gli scricchiolii nella relazione lasciarono il posto alla vera e propria cornificazione (tanto per rimanere in tema con l’artwork):
Chimera.
Un disco, a sommesso parere dello scrivente, scolastico, insignificante, senz’anima. Un disco che mi fece infine comprendere: i miei
Mayhem non c’erano più. Quello, molto semplicemente, non era il gruppo che avevo imparato ad adorare.
All’amarezza seguì un inevitabile distacco emotivo, e il rapporto s’interruppe in modo brusco. Non servirono a riallacciare i ponti né il secondo avvento di
Attila, né il successivo full length
Ordo ad Chao (2007), dotato di spunti interessanti ma azzoppato da suoni ridicoli e dall’infantile volontà di risultare il più true e (oc)cult possibile.
Giungiamo ai giorni nostri: ormai adulto, vaccinato e prossimo al (vero)matrimonio, mi capita l’occasione di recensire l’ultima fatica del combo scandinavo. Mi accingo all’ascolto con l’atteggiamento perfetto: smaltiti da tempo rabbia e rancore, affronto il compito senza coinvolgimenti emotivi e senza aspettative…
E meno male.
Esoteric Warfare, chiariamolo sin d’ora, non è orrendo. Ma trascurabile, sconclusionato e noioso sì. Potrà venir apprezzato nel breve periodo, potrà scaldare gli animi dei giovincelli, ma temo non possieda abbastanza qualità per resistere all’inesorabile incedere del tempo.
L’abbandono di
Blasphemer, alla prova dei fatti, si è rivelato meno traumatico del previsto: il nuovo arrivato
Teloch si rivela chitarrista adatto al nuovo corso della band. Il suo riffing preciso, dissonante e affilato si fonde alla perfezione con la sezione ritmica, composta dall'affidabile
Necrobutcher e dal drumming chirurgico di
Hellhammer (anche se io, in tutta onestà, rimpiango il tumultuoso disordine dei tempi di
Wolf’s Lair Abyss).
I tre tessono trame strumentali taglienti, gelide e martellanti, concretizzando davanti a noi la marcia di un esercito di formiche guerriere impazzite. Il trittico composto da
Watcher,
Psywar e
Pandaemon, per rendere l’idea, mi ha ricordato il geniale lavoro omonimo dei
Thorns (2001); qui, d’altra parte, mancano il feeling cibernetico, la produzione ad hoc, l’ossessività ritmica e la disciplina compositiva, queste ultime sacrificate in favore di un’anarchia strutturale spesso fine a se stessa.
Piuttosto che aggiungere spunti d’interesse all’esperienza uditiva i cambi di ritmo, i rallentamenti e le parentesi atmosferiche la rendono disorganica. I motivi sono principalmente due: da un lato, il loro inserimento non sembra rispondere a effettive esigenze di economia del brano, ma pare perlopiù casuale; dall’altro, quasi mai ci troviamo di fronte a partiture in grado di lasciare il segno.
Perciò, brani come
Milab,
Corpse of Care,
VI.Sec. e
Posthuman imboccano troppo presto il sentiero del tedio, nonostante l’impressionante performance vocale di un
Attila Csihar autentico mattatore, istrionico e malevolo come sempre.
Il disco, dunque, scorre senza sobbalzi, senza guizzi, senza scintille, ma soprattutto senza un reale filo conduttore.
Questo, per me, si è rivelato
Esoteric Warfare: un prodotto privo di reale ispirazione e inutilmente frammentario, del tutto incapace di riattizzare le braci di una passione sopita.
Sboccerà di nuovo l’amore un giorno?
Non so dirlo. Ora come ora, purtroppo, i cuori sono separati da uno spesso muro di freddezza, e gli occhi annebbiati da una fosca coltre di diffidenza. La diffidenza propria di chi sa che la splendida creatura conosciuta in gioventù non è più quella di una volta. E, con ogni probabilità, non lo sarà mai più.