Gli
Arkan sono oramai una band conosciuta nel panorama death metal europeo. Dopo
Hilal e
Salam i transalpini tornano con questo nuovo Sofia mantenendo la mistura tra Metal e musica tradizionale orientale. Il gruppo francese è composto in ampia parte da musicisti con radici nordafricane, ovvero provenienti da quella fortissima parte culturale ereditata dai
ne-fasti coloniali, dunque il folklore questa volta deriva dall'Africa, sia per quanto riguarda le composizioni che per i testi ed i temi delle canzoni. Dal monicker della band, ispirato ai cinque pilastri dell'Islam, ai titoli delle release,
Hilal (la luna crescente)
Salām (pace)
Sofia (Bellezza), si intuisce quanto gli
Arkan siano dediti alla propria cultura ed alla diffusione della stessa con un veicolo differente, la musica metal.
Lo stile, che per i primi album è stato accostato agli
Orphaned Land, rimane molto variegato anche in questa nuova uscita, alternando momenti più suggestivi ispirati alla tradizione (soprattutto grazie all'uso di strumenti tipici come
oud,
bendir,
derbouka, ecc.) ad altri spiccatamente orientati verso il death con l'inserimento del growl (stavolta presente in maniera meno consistente), o alcuni (in maggioranza) meno aggressivi guidati dalla voce di
Sarah Layssac. V'è da dire che negli ultimi anni il mondo arabo sta relativamente aprendo al Metal, con la comparsa di gruppi in diversi generi (si pensi ai
Myrath (Tunisia), agli
Acrassicauda (Iraq)), avendo pure un discreto successo e gli
Arkan sono fra i più noti di questa nuova ondata metallica.
Rispetto alle uscite precedenti, Sofia mostra un certo cambiamento nel sound della band, frutto di uno sviluppo dell'identità musicale, che pone soprattutto
Sarah Layssac in rilievo rispetto al growl di
Florent Jannier, ma anche figlio di una non specificata tragedia familiare di uno dei membri della band. La musica appare così più drammatica, volta alla riflessione. Già dall'opener
Hayati (traducibile come vita, oppure mia vita, mio tutto) ci si accorge della svolta compiuta dagli
Arkan, dove l'atmosfera malinconica regna sovrana accompagnata dall'interpretazione della vocalist. In
My Reverence la band spinge un po' più sulla potenza, ma non arrivando mai ad un alto potenziale di aggressività, mantenendo quell'aura melanconica che aleggerà su tutto l'album.
March of Sorrow, introdotta da una parte acustica comprendente violini, non si stacca stilisticamente dalle precedenti, mostrando quanta profondità v'è dietro il songwriting (da sottolineare la prima manifestazione del growl in questa canzone, seppur per qualche istante).
Leaving Us è inaugurata dall'uso di strumenti tradizionali, che poi lasciano spazio ad una traccia emotivamente d'impatto.
Soiled Dreams è limpida, leggera, la distorsione è sempre limitata, non sforzata, con melodie orientaleggianti imbastite in sottofondo.
Deafening Silence si riallaccia perfettamente all'antecedente, così come per tutte le composizioni dell'album, la musica sembra strutturata alla maniera di un unico insieme. Il minimo stacco si avverte proprio in coincidenza della seguente
Endless Way, che comunque si collega bene al resto del disco.
Wingless Angel è il primo bagliore di melodic death che si avverte in
Sofia, ma viene smorzato quasi subito dalla vocalist, nonostante questa sia forse la traccia più pesante dell'album.
Beauty Asleep è un breve intermezzo acustico marcato dall'influenza della musica orientale che funge da intro alla seguente
Scar of Sadness, oscura, decadente ed inquieta. La misteriosa
Cold Night's Dream apre la strada alla conclusiva
Dark Epilogue, poco più di un'outro strumentale che porta al silenzio.
In conclusione, gli
Arkan sono cambiati, non sappiamo ancora se soltanto per questa release oppure per sempre, fatto sta che hanno quasi del tutto abbandonato l'approccio death, avvicinandosi più al Metal di concezione moderna. Sta a voi giudicare se la metamorfosi è di vostro gusto o meno, ma la musica ed il songwriting sono comunque da apprezzare.