Bambini presenti e assenti, attenti! Oggi parliamo di
feeling … e non fate quella faccia … lo so che è un argomento già affrontato un sacco di volte e anche un po’ ermetico, ma è necessario rinfrescarlo perché spesso rappresenta l’unico elemento di distinzione, soprattutto in settori artistici fortemente rigorosi e codificati.
E poi, per quanto riguarda la sua presunta imperscrutabilità, quella che vi propongo oggi è un’esercitazione “pratica” che sono sicuro sarà piacevole oltre che assolutamente esplicativa.
Allora, prendete questo “Blue slide”, il secondo lavoro della
Jimi Barbiani Band, ascoltatelo tutto d’un fiato, proprio come berreste un bicchierino di Southern Comfort (o di
sgnappa friulana …), e poi ditemi se vi sembra uno dei
tanti esempi di
hard-rock blues che si possono trovare nella ricca offerta “vintage” del terzo millennio.
Qualora la risposta fosse affermativa, il mio consiglio è di tornare quanto prima a ripassare i “classici” per un
utile confronto, mentre sono convinto che chi ama davvero questi suoni e li frequenta già da qualche tempo rileverà nel disco una quantità del suddetto “ingrediente magico” talmente imponente e densa da entusiasmarsi all'istante e procedere immantinente ad una nuova sessione d’ascolto.
Tecnica sopraffina (con una particolare segnalazione per un fulgido utilizzo della
slide guitar …) e una traboccante sensibilità esecutiva e compositiva fanno dell’ex W.I.N.D. un musicista dall’enorme carisma, e dacché per lui si sono “scomodati” la prestigiosa Grooveyard Records (nel roster Tony Spinner, Michael Landau, Craig Erickson, Randy Hansen, …), Johnny Neel (Allman Brothers Band, Gov't Mule) e Cameron Williams (Tishamingo), mi sa tanto che ormai la “notizia” è di dominio pubblico.
Del resto, come anticipato, è sufficiente un solo “contatto” per rendersene conto … ascoltare il modo in cui un brano celebre come “La Grange” degli ZZ Top (una vera passione del nostro … ricordate la brillante versione di “Sure got cold after the rain fell” su “Back on the tracks”?) e uno forse un po’ meno noto (diffusamente
coverizzato, comunque …) come “Going down” di Don Nix vengono
reinterpretati, per poi passare ai pezzi originali, tutti pregni di quella torrida matrice “nera”, poi mutuata in maniera costruttiva e vibrante da un numero selezionato di “bianchi”, tra cui “gente” come Rory Gallagher, Stevie Ray Vaughan, Jeff Beck, Led Zeppelin, Joe Bonamassa, Free, Whitesnake e qualche altro.
E proprio dagli ultimi due dei maestri citati inizierei con le brevi “menzioni d’onore”: “Angel of mercy”, “Don’t lie to me” e “Can’t ask for more” costituiscono una celebrazione straordinariamente efficace della loro arte, e questo grazie anche alla prova maiuscola di Piero Pattay (già apprezzato negli ottimi Fist Of Rage), veramente degna dei suoi principali educatori Coverdale e Rodgers.
La voce di Johnny Neel nella canicolare “Sixty nine” è una presenza gradevole e insolita, il suo
hammond è il perfetto contraltare della chitarra languida di Jimi nella notturna “Sad soul” e un plauso speciale lo vorrei spendere pure per “Ain’t but one of two ways”, marchiata dalla laringe “sudista” di Cameron Williams e da un
groove irresistibile.
Sottolineando, infine, il prezioso contributo di Gianni Massarutto all’armonica, non mi resta che sottoporre la “scolaresca” alla domanda di verifica finale … come ci si comporta di fronte ad una manifestazione tanto nitida ed inequivocabile di perizia e di
feeling? Si
acquisisce (sinonimo di
acquista … mi raccomando, eh …) la fonte di tale straordinaria forma di linimento per l’anima (detto in coro!).
Bene, bravi, sette più … anzi otto, che è poi anche il voto che si merita la Jimi Barbiani Band.