Beh, diciamo subito che se i
Tesla vogliono farci intendere, con il titolo del loro nuovo album, che il
rock n’ roll in fondo è una faccenda “semplice”, non hanno fatto i conti con la nostra “conoscenza” (e se siete assidui frequentatori di questa
webzine vuol dire che sapete scegliere dove e come ci si può documentare nel modo migliore!) di una materia solo apparentemente agevole da interpretare e riprodurre.
Certo, per loro che da trent’anni forniscono sostanziose testimonianze d’ispirazione e perizia nel settore, potrà anche sembrare una cosa “facile”, ma spero vivamente che siano rimasti in pochi gli “ingenui” a credere ancora che sia sufficiente emulare “scientificamente” i copioni elaborati dai maestri storici del genere per essere credibili e convincenti.
Tutto si riconduce ad una questione di “attitudine”, una “robetta”
misteriosa e
rara che i grandi possiedono copiosamente nel codice genetico e che riesce addirittura a sopperire tranquillamente a qualche minima forma di appannamento, magari dovuta al “naturale” logoramento di una carriera lunga e intensa.
Un preambolo, anche un po’ “forzato” se vogliamo (il gruppo, a quanto pare, in realtà si riferisce ad una mancanza di “semplicità” tipica della società contemporanea, sempre più tecnologica e priva di valori autentici …), che vuole sottolineare la validità di un disco probabilmente non del tutto all’altezza del prestigioso passato dei Tesla, eppure ancora in grado di annichilire parecchi concorrenti innanzitutto grazie ad una vocazione inoppugnabile, per quanto mi riguarda in grado di fare puntualmente la differenza.
Insomma, lasciamo “Mechanical resonance”, “The great radio controversy” e “Psychotic supper” là dove stanno, nell’
Olimpo dell’
hard-rock yankee e concentriamoci su un “nuovo corso” inaugurato con l’ottimo “Forever more”, pregno di notevole efficacia emotiva e capace di restituire al suo pubblico una
band integra e dinamica nonostante l’ineluttabile trascorrere degli anni.
La voce di Jeff Keith appare senza dubbio l’elemento più evidente del “cambiamento”: che il suo timbro risulti abbastanza inasprito e scurito (specialmente sui toni alti) è palese e tuttavia affermare contestualmente che quest’aspetto ne limiti l’espressività sembra altrettanto avventato, pure nell’insindacabile ambito del “gusto personale”.
La tensione e la “brace” che arde nella laringe sono immutate e con il contributo di sodali in eccellenti condizioni di forma e di una consistente vitalità compositiva, “Simplicity” ha tutte le doti per appagare i sostenitori delle sonorità viscerali e “classiche”, già da un po’ di tempo ritornate a suscitare l’attenzione della “scena”.
“M P 3”, “Ricochet”, “Rise and fall”, “So divine ... ”, “Sympathy” e la “sudista” "Flip side!” sono esempi lampanti d’inossidabile carica, passionalità e carisma, mentre il
blues n’ soul di “Cross my heart” sorprenderà chi ha scoperto “certi” suoni grazie ai Black Crowes e “Honestly” è “semplicemente” una delle più emozionanti
power-ballads dell’ultimo periodo.
Qualora foste alla ricerca di materiale maggiormente “fisico”, “realistico” e “sprezzante” ecco che troverete soddisfazione in “Break of dawn” e in “Time bomb”, il tocco “commerciale” di “Life is a river” potrebbe fare bene in un’eventuale programmazione radiofonica e “'Til that day” ha un’atmosfera rilassata e crepuscolare non priva di fascino.
Gli estimatori della “tradizione”, con almeno un paio di generazioni di
rockers (dagli Aerosmith fino ai The Temperance Movement, potremmo dire …) a loro disposizione, farebbero bene a ricordarsi dei Tesla, dunque … gente che fa tuttora, nel
bailamme di veterani e di continue
new sensation del mercato contemporaneo, la sua “sporca figura” …