Mi sono sempre considerato un pessimo “turista”, eccessivamente suggestionabile dal fascino dell’esotico e delle “cose lontane” e troppo poco attento alle eccellenze, spesso addirittura di livello superiore, facilmente raggiungibili.
Un “difetto” che finora non aveva (quasi mai) coinvolto la mia passione “primaria”, ovverosia la musica (nelle sue innumerevoli declinazioni …), nei confronti della quale anzi ho sempre avuto un atteggiamento se non proprio “protezionistico” almeno molto attento a non scadere in facili e diffusi esterofilismi.
E allora, come sono potuti sfuggirmi i
Syndone, caleidoscopica
symphonic-prog-band attiva da ben venticinque anni (sebbene inframezzati da una lunga “pausa di riflessione” …) con base operativa nella mia amata (e altrettanto odiata, a volte …) Torino? Non me ne capacito, soprattutto dopo aver ascoltato (e riascoltato, l’unico modo per entrare davvero in sintonia con il
concept del disco …) questo “Odysséas”, suggestivo viaggio sonoro ispirato al classico poema Omerico, dedicato, dunque, al desiderio atavico dell’essere umano a spingersi verso l’ignoto, in senso “fisico” e “metafisico”.
Dopo essere istantaneamente ammaliati dal fascinoso
artwork (“A oriente”, dipinto di Lorenzo Alessandri, uno dei maestri del surrealismo italiano, scomparso nel 2000) dell’
album, sarete catapultati in questa dimensione al tempo stesso onirica, aristocratica, intensa e imprevedibile, in una rotta musicale che tocca svariati lidi stilistici senza perdere mai la “bussola” comunicativa, nonostante, è doveroso ribadirlo, si tratti di un percorso rivolto in particolare a tutti i viandanti delle sette note che saggiano con applicazione e concentrazione il loro cammino.
I nomi di Area, Gentle Giant, Banco Del Mutuo Soccorso, PFM, ELP, Queen e Nuova Era (e per certi versi, rilevo una notevole “affinità elettiva” tra l’ingegnoso tastierista dei Syndone Nik Comoglio e Walter Pini, fondatore e
leader della
band toscana …) sono i primi a balenare nella memoria durante un palpitante itinerario fatto di
prog,
rock,
jazz, musica classica e arrangiamenti sontuosi, ma si tratta fondamentalmente di fuggevoli riflessi in uno specchio ispirativo fedele alla scuola
settantiana del genere e non per questo supinamente assoggettato ad essa.
Una tensione espressiva in continua fibrillazione è il
leitmotiv di un programma impossibile da scomporre e che va fruito esattamente com’è stato concepito … un’opera avventurosa, evocativa e raffinata nella sua totalità.
Il ritorno alla “realtà” (potremmo definirlo anche
nostos, in ossequio al soggetto del
Cd …) mi consente di rimarcare la presenza di due graditi e prestigiosi ospiti come Marco Minnemann (Steven Wilson, Adrian Belew, The Aristocrats, …) e John Hackett (fratello minore e collaboratore di Steve Hackett), da elogiare per l’ottimo lavoro effettuato (soprattutto il primo, non fosse altro per la sua estesa partecipazione esecutiva) e “utili” anche per il ruolo “attrattivo” che svolgono in un
rockrama sempre più distratto e poco selettivo.
E a proposito di “svagati”, torniamo al sottoscritto, a cui non rimane che complimentarsi con i Syndone e trasformare la sua contingente “stoltezza” nella più classica delle
lesson learned.
E voi, che tipo di
viaggiatori volete essere?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?