Avete presente quel misto d’astio ed invidia che si prova nei confronti del “primo della classe”, di quello che, anche se si è “bravini” in una determinata disciplina, non si riesce mai (per effettive capacità e talvolta anche per una sorta di “blasone”, che questi personaggi hanno ormai acquisito) a superare completamente?
Si tratta di una patologia da “eterno secondo” (o terzo, … o peggio) attualmente allo studio da parte di un team d’eminenti luminari della psicologia mondiale e che viene anche chiamata, non so per quale recondita ragione scientifica, “sindrome nerazzurra” ( … ehi scherzo!) e che credo affligga pure i nostri spagnoli Red Wine, continuamente paragonati (per analogie musicali e linguistiche) ad una serie di band loro connazionali (Tierra Santa, Saratoga, Avalanch), ma con queste ultime da sempre valutate come appartenenti ad un rango superiore.
Purtroppo, nemmeno questo nuovo “test” denominato “Cenizas” servirà a liberare gli iberici dalla definizione “si applica, ha discrete potenzialità ma potrebbe fare di più” che molte volte è servita (magari con altri termini, ma simile sostanza), a misurare il loro valore musicale.
Come si sarà intuito, siamo sul classico terreno del power metal melodico, che in questo caso appare buono dal punto di vista della preparazione strumentale, ma abbastanza poco ispirato, ricalcando, spesso in maniera troppo sfacciata, tutti gli ormai un po’ consunti assiomi del genere.
Alla poca originalità non è d’aiuto neanche il cantato in lingua madre, che, seppur piacevole, non è più, come già accennato, una novità che possa in qualche modo incuriosire l’ascoltatore, giacché è già stato ampiamente utilizzato dalle band citate in precedenza, che continuano a risultare i punti di riferimento della scena spagnola, nell’ambito di questi particolari stilemi.
Parlando dei singoli componenti, segnalando l’ingresso del nuovo Ivan Ramirez alla “bateria”, bravo, ma abbastanza ininfluente ai fini del risultato e ricordando la discreta prova del resto della compagine, spendiamo due parole per il singer Mario Suarez, che personalmente non mi ha mai convinto più di tanto: devoto al verbo “Kiskiano” e tecnicamente abbastanza dotato, mi sembra ancora una volta “freddino” e i suoi acuti un po’ troppo “sguaiati”, se così si può dire.
Anche a livello di canzoni, siamo in uno status che si assesta su valori medi, con picchi piuttosto sporadici, come accade nella melodica “Una vida mas”, nell’aggressiva “Despierta”, in “Ojos de ley” e nell’impetuosa “Negando lo evidente”.
Voglio segnalare anche l’hard rock di “Fantasma del pasado”, non tanto per un suo particolare rilievo nell’economia del disco ma perché, in questo brano Suarez, a tratti, ricorda, in modo assolutamente sorprendente, una sorta di Manuel Agnelli (!?!) trapiantato nel metal, mentre è da censurare la sua prova nell’acustica “Mi universo”, assolutamente priva del necessario feeling.
Giunti al traguardo del quarto album, i difetti (e per alcuni, anche i pregi) dei Red Wine (mi sono sempre chiesto il perché di un nome simile), sono sempre gli stessi e neanche in questo casi i nostri sono stati in grado di colmare (continuando nella metafora “scolastica”) i loro evidenti “debiti formativi” in materia di personalità … ancora una volta “non malaccio”, ma con profitti soltanto sufficienti e per il momento ben lontani dal poter aspirare a contrastare i loro “compagni” più abili.
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