Sin dalla loro calata nel lontano 2000 (sic, sembra ieri), gli
Origin hanno saputo prima mettersi in luce con il loro potentissimo brutal-technical death, poi diventare una realtà consolidata del genere ed infine sono riusciti a generare uno stuolo di giovani formazioni che hanno seguito i loro passi, mentre loro continuavano a confermarsi ad ogni uscita tra i gruppi al vertice di un certo modo di fare musica.
Dopo perle assolute come
Echoes of Decimation che in appena 26 minuti distrugge tutto e tutti, dopo il monumentale massacro auricolare di
Anthitesis, c'è stato un lieve calo con
Entity, un disco a cui mancava qualcosa (atmosfera? identità?), a cui è seguito un cambio di line up. La rinnovata formazione, dopo essersi ben rodata tra un palco e l'altro con il bravo
Jason Keyser alla voce (ex-
Skinless) dotato di un ampio range, è ora pronta a stuprarci le orecchie.
Omnipresent è un album dinamico, atmosferico, con ben tre interludi strumentali strategicamente piazzati in scaletta e una varietà di songwriting che è la chiave della buona riuscita di questo capitolo. La loro mostruosa tecnica non appesantisce la linearità delle canzoni, non le rende cervellotiche, anzi, dopo un paio di ascolti si riesce a seguire in modo "tranquillo" il disco e godere di ogni sua frustata.
Grazie anche ad una produzione pulitissima (ma non troppo fredda) che mette in evidenza rasoiate precise e letali, si rimane inchiodati dall'opener
All Things Dead, semplicemente una delle migliori canzoni mai composte dagli
Origin: gravity blast a pioggia, un'intensità incredibile, chitarre che prima si lanciano in sweep picking poi diventano epiche e possenti, alla fine sono lacrime di gioia e sangue per via delle schegge proiettate dalle casse. Segue
Thrall:Fulcrum:Apex, un minuto di rapidissimo grind con vocals altrettanto veloci poi, a ruota, arriva
Manifest Desolate con la sua sezione centrale da headbanging puro e le cattivissime voci che si intrecciano su un tappeto di fuoco e fiamme. C'è tanta roba che si sussegue, le mitragliate devastanti di
The Absurdity of What I Am con il suo efficace dualismo growl-scream, fino all'atipica
Redistribution of Filth, che inizia in stile punk-hardcore, prende poi le sembianze del death svedese fino ad un'accelerazione che sembra in stile
Malevolent Creation e continua con una parte groove. "Semplice" e diversa dal solito per gli
Origin. Dopo l'intermezzo "tastierizzato"
Obsolescence, le ultime due cinghiate non deludono, tra sezioni groove in continua evoluzione, dissonanze black e tempi rapidissimi, ce n'è davvero per tutti. Ecco, mancano gli assoli. Non ve n'è quasi traccia lungo tutto il disco, avrebbero probabilmente esaltato ulteriormente alcuni brani ma, in fin dei conti, non se ne sente un'eccessiva mancanza.
Può essere che tutta questa varietà e la maggiore linearità del songwriting non venga apprezzate da tutti, ma vi assicuro che siamo al cospetto di un disco superiore per resa ed ispirazione al precedente e che conferma, senza ombra di dubbio, il buonissimo stato di salute della formazione americana. Sempre che non vengano squalificati per il probabile doping di
John Longstreth, un mostro.
P.S. Per completezza segnalo che sul disco è presente anche la canzone
Kill Yourself (cover dei
S.O.D.) di cui purtroppo non vi posso parlare in quanto non figura nel promo in mio possesso.
All Things Dead
The Absurdity of What I Am
Manifest Desolate
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