Di questo gruppo, gli
ElettroCirco, e di un
signore che si chiama Diego Tuscano, ho già parlato abbastanza diffusamente in passato su queste stesse colonne, incensando le qualità di entrambi nel combinare, attraverso uno stile abbastanza peculiare, tradizione e creatività, in un percorso musicale che intride
rock,
blues,
soul,
pop e
prog di un
feeling pieno e intenso, artisticamente ed emotivamente davvero avvincente e meritevole di attenzione.
Purtroppo, come spesso accade e per molte ragioni, non sempre chi “merita” ottiene ciò che gli “spetta”, e ora che la
band ha sospeso sua attività, la decisione del singer aostano di recuperare il primo
maxi Ep della sottovalutata formazione (e le sorprese “postume” che la riguardano non sono ancora finite …) e addizionarlo di una sessione acustica registrata nel 2010, non fa che aumentare il rammarico per un viaggio sonoro interrotto troppo presto.
Se vi erano (colpevolmente) “sfuggiti”, il mio consiglio è di emendare quanto prima il vostro animo dal “peccato di distrazione”, ricavandone un immediato
alleviamento, mentre a chi condividesse con il sottoscritto il suddetto cruccio, suggerisco un tempestivo contatto soprattutto con la sezione “unplugged” del dischetto, una conferma magari “amara” ma emozionalmente straordinaria di quanto le composizioni degli ElettroCirco fossero ricche di vitalità e di attrattiva, rimaste tali anche quando esposte mediante l’essenzialità di una voce e di una chitarra.
E qui torniamo ad affrontare il tema di come si può arrivare a “toccare” nel profondo i sensi anche senza sottoporre le proprie corde vocali a estenuanti voli nelle stratosfere dell’estensione, “semplicemente” facendole vibrare nel modo “giusto”, in maniera pastosa, palpitante e appassionata, affidando poi alle sensibili sollecitazioni riservate ad un celebre
cordofono il compito di integrare adeguatamente il suggestivo quadro espressivo.
Difficile non rimanere ammaliati da brani come “Autostrade perdute”, “Donna di crema”, “Elementale”, “Il sogno di Prometeo”, “La dama” e “Questa città” e l’occasione di (ri)ascoltarle offerta dall’opera in questione rafforza l’idea che questi ragazzi avrebbero meritato un destino ben diverso, per la loro innata capacità di sorprendere e affascinare tramite la scrittura e l’interpretazione di “belle canzoni”.
Sarebbe stato assai interessante vedere dove queste doti li avrebbero condotti … di solito non vado molto d’accordo con le “mode” e tuttavia in tempi di ritorni e di “reunion”, almeno per una volta, perché non sperare in un improvviso attacco di
trendismo?
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