Giro di boa per gli
Axegressor, giunti al famigerato terzo album, quello della consacrazione o della bocciatura, appena approdati niente meno che alla Listenable Records, dopo aver licenziato i primi due lavori per la Deathrone Music. Andiamo subito al dunque: bocciati o promossi? Direi decisamente la seconda… Pur muovendosi lungo lidi ampiamente esplorati, quelli del thrash metal più puro e incontaminato, pur avendo chiarissimi riferimenti nei propri brani ai grandi del passato, Kreator e Destruction su tutti, i finlandesi riescono a buttar giù una manciata di pezzi che ti prendono e ti fanno scapocciare violentemente, grazie ad una sapiente alternanza di parti mosh e parti tupa-tupa, che rendono l’ascolto vario, pur con i limiti di cui sopra. Già, perché come abbiamo detto più e più volte, è inutile cercare novità in album come questi, sarebbe impossibile. Di contro, neanche possiamo accettare ad occhi chiusi ogni porcheria che viene pubblicata nel nome del Dio thrash, sarebbe da ottusi. La verità, però, è che quando escono dischi come questo “Last”, pieno di soluzioni stuzzicanti, pieno di brani che lasciano il segno, beh, allora il gioco è fatto. Cosa c’è da recriminare ad un pezzo come “Lead justice”? Oppure alla opener “Freedom illusion”, coraggiosamente introdotta da un riff mid tempo, prima di sfociare in tutta la sua violenza? Forse l’unico neo nella proposta dei nostri è la voce leggermente monocorde di Johnny Nuclear Winter, poco avvezzo a modulazioni che possano rendere i brani più interessanti. Ma tutto sommato è un problema non solo comune a tantissime giovani band, prive da decenni ormai di un lead singer carismatico come lo erano Mille Petrozza, o Schmier, o Steve Zetro Souza, giusto per citare i primi nomi che mi vengono in mente, ma anche sorvolabile, se il tappeto è assicurato da un riffing variegato e da ritmiche precise e potenti come nel caso degli Axegressor. Altra nota positiva è l’esigua durata dell’album, poco più di mezz’ora, elemento essenziale, in questi casi, per evitare che sopraggiunga lo sbadiglio causato da ripetizioni fini a se stesse. Per cui, via con brani come “15” o “Social pressure”, vere e proprie schegge impazzite, così come spazio ai mid tempo rocciosi (“Merciless reality check”). In entrambi i casi i finlandesi dimostrano di saper gestire bene le dinamiche, i cambi di tempo e il riffing, tutti elementi che li portano un gradino più in alto rispetto a tante band cloni presenti nell’ormai abusato filone thrash revival. Toccherebbe saggiare la bontà del gruppo anche in sede live… per il momento ci accontentiamo dell’assalto sonoro perpetrato in studio, sperando che non si tratti di un episodio isolato, ma che invece la band riesca a mantenere alta la tensione anche nei prossimi lavori…
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