Chi conosce
Neal Morse sa (quasi) sempre cosa aspettarsi: dalla sua creatura
Spock’s Beard alla sua carriera solista, tutta la produzione di Neal ha sempre ruotato intorno ad un progressive rock molto melodico e musicalmente appetibile anche al fan più affamato di tecnica e arzigogoli. La sua produzione con
Transatlantic e
Flying Colors, poi, non ha fatto altro che alzare l’asticella ed evidenziare le grandi doti, soprattutto compositive, di Neal. Ma questa volta, il nostro eroe l’ha fatta grossa, mettendo in piedi un album di canzoni che la stessa InsideOut definisce “
normali”, cercando di far passare il concetto che questa sia una sorta di sfida, da parte di un artista che cerchi di abbattere ed ampliare i confini del prog rock.
Niente di tutto questo. “
Songs from November” NON è affatto un album prog rock, ma un disco di canzoni soffici e delicate, incentrate sulla voce e le tastiere di Neal, e concepito insieme al giovane batterista Gabe Klein, per poi essere rifinito e completato da altri musicisti in studio. Un album, si diceva, assolutamente e volutamente semplice, il che di per sé non dovrebbe essere un difetto, se non fosse che spesso, purtroppo, alla semplicità qui va a braccetto la noia. Le canzoni si assomigliano pericolosamente l’una con l’altra, e negli undici brani sento echi di Paul McCartney, James Taylor, la scuola cantautoriale americana, oltra al trademark proprio di Neal. Bei pezzi come “
Flowers in a Vase” o “
Whatever Days” si mescolano ad altre composizioni fin troppo statiche, per quanto piacevoli e rilassanti. Ma la parabola, ahinoi, è chiaramente discendente. Da Neal possiamo, dobbiamo aspettarci di più, e “Songs from November” è purtroppo un album troppo novembrino, troppo autunnale per poter scaldare il cuore dei rocker. Meh.
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