“Quaternity” è un discone! E potrei chiudere la recensione qui, se solo potessi farlo… Ma non posso, quindi cercherò di spiegarvi perché il nuovo album dei
Sabbath Assembly mi ha colpito così tanto. Innanzitutto chiariamo una cosa: non stiamo parlando assolutamente di un album metal. Cosa c’entra allora sulle pagine di Metal Hammer un disco non metal? Beh, è presto detto… I Sabbath Assemby riprendono la grande tradizione occult, con un album che è pregno di riferimenti ai vari Antonius Rex/Jacula, Dr. Z, Comus, Coven, e via dicendo. Punto di riferimento, quindi, la scena dark dei seventies, e basta ascoltare l’eterea voce di Jamie Myers e le trame strumentali ordite da Dave Nuss e soci, con l’ausilio di chitarre acustiche, organi e altri strumenti anti convenzionali (la chitarra elettrica appare solo in un paio di brani), per capire di cosa sto parlando.
Che ci sia un forte studio dietro quanto proposto dal duo americano si intuisce facilmente. In pratica gli album del gruppo non sono altro che inni della “Process Church of the Final Judgment” messi in musica, quindi per capire a fondo la proposta del gruppo bisognerebbe approfondire un po’ di cose relative alla dottrina di questa chiesa. In particolare, in questo caso, stiamo parlando di un concept album incentrato sulla tetralogia divina, e cioè sul rapporto che lega Dio (il potere), Satana (l’amore), Lucifero (la luce) e Gesù Cristo (l’unità). A seconda di chi si sta parlando, quindi, la musica cambia, si indurisce o si ammorbidisce, legandosi a strettissimo legame con i testi. Sicuramente non è un ascolto facile, ma vi assicuro che è decisamente affascinante e il duo Myers/Nuss è abbastanza addentro da riuscire a coinvolgervi e catturare la vostra attenzione.
“Let us who mystically represent...” oltre ad essere l’intro dell’album è una sorta di invocazione molto liturgica e spirituale, mentre la successiva “The burning cross of Christ” inizia ad esplorare territori più vasti e soprattutto ad analizzare il primo dei quattro soggetti nominati prima, e lo fa mescolando elementi dark, folk, psichedelici, in una sorta di viaggio mistico che sicuramente non può lasciare indifferenti. Ottime le trame vocali di Jamie, così come l’accompagnamento musicale, etereo e delicato. Si continua sulla falsa riga di questo brano con il successivo “Jehovah on death”, ancora una volta sostenuto da delicati arpeggi di chitarra acustica, interventi di viola e soprattutto trame vocali molto intriganti. Con l’arrivo di “I, Satan”, i toni si incupiscono e si induriscono, con tanto di chitarrone elettrico che rende il brano decisamente tetro ed opprimente. “Lucifer” continua ad esplorare il lato oscuro con un organo cupo a fare da base ad una voce maschile molto profonda ed evocativa, forse il brano più ermetico di tutto il lavoro. A questo punto, esaurito l’approfondimento dei quattro elementi, i nostri si lanciano in una lunga suite di ben diciotto minuti per analizzare i quattro cavalieri dell’apocalisse, e lo fanno con il brano più complesso ed affascinante dell’intero album, dove confluiscono tutti gli elementi utilizzati dai Sabbath Assembly nei precedenti brani.
Insomma, “Quaternity” non è certo un album per tutti, o un disco da ascoltare sotto la doccia, e ve lo consiglio solo se avete voglia e tempo per approfondire i vari aspetti, per immergervi per una quarantina di minuti in un’altra dimensione.
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