Possiamo dirlo dai, incominciavamo a pensare che la permanenza di
Marty Friedman dall'altra parte del globo, avesse spento parte del fuoco che bruciava in lui, che avesse assopito la scintilla della creatività metallica, soprattutto dopo la pubblicazione di ben due dischi in cui il riccioluto axeman rivisitava famose pop-songs giapponesi (
Tokyo Jukebox 1 e
2).
Ad un certo punto
Marty torna, fa un disco per il mercato americano (come non accadeva da parecchi anni) e non solo ti fa vedere che ha ancora parecchio da dire, ma sprigiona fuoco e fiamme come non si sentiva da un sacco ti tempo!
Inferno (titolo emblematico) è un insieme di canzoni scritte per l'occasione, canzoni che
Marty ha arrangiato come solo lui sa fare e ci ha buttato dentro il suo incredibile talento per farne uscire delle gemme di pura guitar-art.
Il mix di stili presente in questo disco è davvero vario ma soprattutto è metal! Si signori,
Friedman ci dona un disco metal in cui dimostra, una volta ancora, che rimane uno degli specialisti del settore, che il suo fraseggio è vivo, ispirato e brillante ed arriva perfino a ricordare momenti
Megadeth. Tante sono le collaborazioni presenti in Inferno che, di conseguenza, portano a canzoni dall'impronta differente. Abbiamo
Alexi Laiho (
Children of Bodom),
Dave Davidson (
Revocation),
Danko Jones,
Rodrigo Y Gabriela ed il mitico
Jason Becker che, nonostante non possa muoversi poiché afflitto da SLA, continua a comporre e collaborare con
Marty suggellando trent'anni di amicizia.
I brani strumentali sono abbastanza complessi e forse un pochino di "settore", adatti quindi ad un pubblico ben inserito e preparato a maneggiare quello che si troverà di fronte. Va detto che non è tutto uno schiacciasassi ultraveloce, anzi, il sentimento e la sperimentazione trasudano sempre (e se conoscete
Marty lo sapete bene),
Undertow, lenta e piena di feeling, è qui per ricordarlo. Perfino nei momenti più schizzati (vedi il duetto col sax su
Meat Hook) è possibile toccare l'anima del musicista. La
title track, invece, è qualcosa a parte. Gli occhi brillano mentre le scale scorrono, i tempi cambiano, così come le atmosfere si susseguono e ti trovi ad affrontare cattiveria e genialità in un unicum maestoso. Ma pure la successiva
Resin e l'oscurità che la avvolge, mica scherzano.
Wicked Panacea vede poi le chitarre sprizzanti flamenco di
Rodrigo Y Gabriela intecciarsi con quelle del nostro guitar hero che, nella successiva
Steroidhead, ci mostra invece il suo modo di intendere in thrash metal tecnico e moderno.
Il disco, come detto, è quasi totalmente strumentale ad eccezione della canzone di facile ascolto con
Danko (
I Can't Relax),
Sociopaths, con le vocals gutturali di
Davidson, in cui si incontrano vecchio e nuovo metal conditi da gran classe e la "bodomesca"
Lycanthrope (naturalmente con
Alexi). Tutto, tutto quanto sta dentro ad Inferno, ci mostra una quantità di cambi di tempo, una varietà di stili da leccarsi i baffi. La produzione è pulita e mette bene in risalto la bravura di Friedman, certo, si sente un pochino la mancanza di un vero drummer, ma è qualcosa che si può perdonare.
La classe è qui, ancora una volta, ancora per stupire.
Inferno, title track.