Se pensate
Wovenwar, qual è la prima immagine che si fissa nella vostra mente? Lo so,
Tim Lambesis. Per chi non lo sapesse questa nuova band al debutto discografico con Metal Blade non è altro che la fenice risorta dalle ceneri degli
As I Lay Dying e nata dai problemi giudiziari che hanno visto come protagonista Lambesis. I rimanenti membri del gruppo si sono uniti a
Shane Blay (Oh, Sleeper) creando gli
Wovenwar e sfornando questo convincente primo album.
'Wovenwar' è complesso, aggressivo, legato a filo stretto ma non eccessivamente intrecciato alla band madre, v'è un'identità all'interno, brilla di luce propria. Inutile dire che la maturità dimostrata dal gruppo sia figlia dell'esperienza sviluppata negli anni, ma grazie allo stile di Blay ed alla voglia di sperimentare degli altri è nato un ibrido autonomo, un automa umano. Ecco dunque che attraversando la melodica
'Foreword', ci si trova nella battaglia di
'All Rise', metalcore strutturato e melodico, dai
segmenti seducenti ed orecchiabili. Trama vincente questa degli Wovenwar che continua in
'Death to Rights', con un gran lavoro dei chitarristi e della sezione ritmica. '
Tempest' avvolge con una furia fra il prosperico e il calibano, sempre con quel tocco melodico e vellutato portato da Blay. Da citare necessariamente
'Sight of Shore', che sfonda ancor maggiormente la barriera melodica,
'Father/Son', eterogenea, acustica, sperimentale e malinconica,
'Profane', con un drummer scatenato e un chorus accattivante, e la penultima
'Prophets', una semi-ballad evocativa dal sostrato melancolico.
Inutile negare che gli
Wovenwar abbiano fatto un bel lavoro con questo debut album. Come tutti gli album metalcore non è consigliabile universalmente, ma se siete aperti alle nuove frontiere del Metallo concedetegli un'opportunità, non ve ne pentirete.
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