Sono passati tre anni da
'The Human Romance' ed ecco tornare i metalcorers
Darkest Hour con questo nuovo album self-titled. Il combo di Washington D.C. si è costruito negli anni una discreta fama all'interno del genere e con questa fresca uscita non vogliono di certo mollare l'osso. Si pensi che l'anno di fondazione della band è il 1995 ed il sound è rimasto perlomeno uguale, salvo il perfezionamento di alcuni dettagli che hanno finemente elevato la qualità della musica dei
Darkest Hour. Gli statunitensi hanno infatti avuto sin dai loro inizi una devozione per il death scandinavo a cui hanno sempre più aggiunto gli elementi che contraddistinguono il metalcore made in USA. Siamo dunque in campo melodic deathcore per la precisione, con una particolare attenzione verso il riffing e la parte ritmica. Proprio dietro le pelli si ha l'entrata di
Travis Orbin (ex-Periphery) a contribuire all'opera schiacciasassi dei
Darkest Hour. Un nuovo buon disco da parte degli americani, omogeneo e quadrato, dal quale spiccano pezzi come l'opener
'Wasteland', moderna ma classica allo stesso tempo, che mescola sapientemente core e melodic death, la melanconica
'The Misery We Make', carica di pathos e melodia,
'Futurist', dove il metal attuale primeggia sfondando la cortina del metalcore,
'Anti-axis', nella quale si potrebbe persino parlare di orecchiabile,
'Lost For Life', dominata da un riffing thrash simile allo stile ottantiano, non per ultima
'By the Starlight', semi-acustica e sognante che vede come protagonista il duetto fra il cantante
John Henry e la voce femminile
Draemings.
I
Darkest Hour continuano per la loro strada, fabbricando composizioni impegnate sia sulla parte più dura che su quella melodica, tentando sempre di migliorarsi e di modernizzare la propria musica, evitando di violarla più del dovuto. Certo non si può gridare al capolavoro, ma nemmeno negare un ascolto a priori.
Video di The Misey We Make
Video di By The Starlight
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