V’è sempre qualcosa d’inafferrabile nella musica dei
Fen.
Le pulsioni evolutive che animavano la band inglese ai tempi di
Epoch sembrano essersi chetate; parimenti, consolidata ormai la ricetta sonora è (costruzione della frase stile
Yoda, scusate ma ho appena visto il trailer del settimo episodio).
Semmai, oggi si tratta di cogliere il dosaggio degli ingredienti con cui il nuovo album è stato preparato.
Eppure, come detto, guai a ritenere di aver inquadrato, catalogato ed etichettato in modo definitivo il gruppo londinese.
Il carattere organico ed elusivo di
Carrion Skies non va rintracciato nella struttura dei sei brani, ma piuttosto nella loro splendida indecisione concettuale.
Il trio, come il protagonista di
Trainspotting, sceglie di non scegliere: nell’arco della stessa composizione scioglie digressioni dal sapore post rock in ambiziose partiture progheggianti, eppure non si sogna nemmeno di accantonare la componente black che li contraddistingueva ai tempi di
The Malediction Fields (circostanza verificatasi in occasione del precedente
Dustwalker); dipinge la propria tela coi tenui colori dell’autunno e della malinconia grazie a echi shoegaze, ambient e folk, ma non rinuncia affatto ad alcune vigorose pennellate bluastre (doom) e vermiglio (death).
Così facendo, i
Fen perseverano nella ricerca della perfetta sintesi tra introspezione e concretezza, tra epicità e raccoglimento, tra calma e foga.
A mio avviso non l’hanno ancora raggiunta: qualche fugace momento di noia, qua e là, serpeggia eccome; alcuni passaggi suonano dispersivi più che evocativi; in generale, gustare l’opera tutta d’un fiato, dal primo all’ultimo minuto, risulterà esercizio arduo per gli ascoltatori meno pazienti.
Non so se i Nostri giungeranno mai alla quadratura del cerchio in termini di sound; quel che so è che, pur con le sue imperfezioni,
Carrion Skies merita un posto di spicco nella collezione di chiunque ami perdersi nei meandri più contemplativi ed atmosferici del metal estremo.
Traduzione: se apprezzate
Wolves in the Throne Room, vecchi
Opeth,
Winterfylleth,
Heretoir e soprattutto
Agalloch -le somiglianze col loro ultimo, sottovalutato
The Serpent & The Sphere sono più d’una- acquistate a cuor leggero.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?