Ok, la “strategia” è ormai abbastanza chiara … si prendono tre (o più) musicisti dal ricco
palmares, li si mette assieme (magari condendo il tutto con dichiarazioni entusiastiche dei suddetti per una collaborazione attesa da tempo …) e li si fa suonare qualcosa di “classico”, tipo
hard-rock blues, un genere che sembra aver riconquistato i favori di pubblico e critica.
Quando, poi, calato nel tuo ruolo di
scrupoloso recensore, sei pronto a “demolire” il risultato finale di tale “scientifico disegno”, imputandolo di scarsa genuinità e di manierismo, ecco che ti capita di analizzare un disco come l’eponimo debutto di questi
Red Zone Rider, per caratteristiche all’apparenza pienamente aderente alla situazione descritta e tuttavia capace di far svanire come d’incanto tutte le tue velleità critiche, non infondendoti altro che una notevole soddisfazione per l’ennesima encomiabile manifestazione di
rock duro post-seventies, con gli spiriti benigni di Led Zeppelin, Whitesnake, Trapeze, Bad Company, Deep Purple e The James Gang a vegliare sull’intera operazione.
Difficile attestare con sicurezza se Vinnie Moore (Alice Cooper, UFO, nonché artefice di una solida carriera solista), Kelly Keeling (già voce per i favolosi Baton Rouge, per MSG, Trans-Siberian Orchestra e George Lynch) e Scot Coogan (Lita Ford, Ace Frehley, Brides Of Destruction), dall’alto della loro esperienza e preparazione, siano stati davvero
travolti dall’urgenza di condividere il “sacro fuoco” dell’
hard-blues o se si tratti invece di una circostanza estemporanea e molto ben “simulata”, quello che posso affermare con una certa “tranquillità” è che “Red zone rider” è una rivisitazione assai godibile e convincente di quei suoni così viscerali e intensi, lasciando nell’astante la netta impressione di una forma d’ispirazione “sentita” e non “costruita”.
Insomma, senza troppe “paranoie”, consiglio agli estimatori del settore (compresi gli “orfani” dei Black Country Communion …) un immediato contatto con questo lavoro, che grazie alla laringe Hughes-Gillan-Coverdale-
iana di Keeling (prezioso il suo contributo alle tastiere e al basso), all’ardente chitarra di Moore (uno che ha già offerto ampie prove di essere molto di più che un “semplice”
guitar-hero) e ai tamburi pulsanti di Coogan vi offrirà una brillante miscela dei loro numi tutelari, adeguatamente
shakerati (in "House of light” e “Count’s 77” affiorano addirittura i The Who) e onorati attraverso un percorso sonoro “devoto” ma non fastidiosamente emulativo.
“Hell no” e “By the rainbow’s end”, i
funky-numbers "Save it” e ”Hit the road” e pure le ombre “sudiste” di “Never trust a woman” sono tutti ottimi esempi di
groove febbrile e bruciante, mentre “Cloud of dreams”, “Obvious” e la catartica “There’s a knowing” con il loro
feeling notturno e malinconico vi procureranno scosse di virile
spleen emozionale.
“Red zone rider” è, in definitiva, un disco molto rigoroso e altrettanto piacevole … attendiamo gli “sviluppi” per comprendere appieno la vera “portata artistica” del “(super)gruppo” che lo ha generato.
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