“Fundamental” è il secondo album in studio dei
Puya, band portoricana formatasi nel 1990 inizialmente con il nome di Whisker Biscuit, per poi adottare quello attuale nel 1994, in occasione dell’uscita del primo demo. Grazie a “Fundamental” (1999) i quattro di San Juan riescono a proiettarsi oltre i confini dell’isola caraibica, facendosi conoscere anche negli Stati uniti. Non per niente, a differenza del primo album omonimo del 1995, stavolta è un’etichetta americana, la MCA, che si permette l’
azzardo di pubblicare negli USA un LP dai testi quasi esclusivamente in spagnolo.
Ho scelto di recensire “Fundamental” proprio perché rappresenta il punto più alto, più importante e rappresentativo della fusione straordinaria di generi diversissimi operata dai Puya: un mix riuscitissimo di salsa, rap, metal e fusion. Non per niente, ottenendo un buon riscontro anche dalla critica, vengono chiamati ad esibirsi all’Ozzfest del 1999, aprendo lo show a band del calibro di Slipknot, Static-X e Fear Factory. Accostati spesso a Ill Niño e ai Sepultura di “Roots” per le loro ritmiche latino-americane e tribali, tuttavia nei Puya troviamo un equilibrio perfetto tra tali ritmiche e il metal, anzi, a volte sono le prime a dominare la scena. Lo spagnolo poi è predominante nei testi, lasciando poco spazio all'inglese.
Questo ibrido fra la solare musica dei Caraibi e il thrash metal è presente in quasi tutte le canzoni, a cominciare da “Oasis”, un amalgama ben riuscito di rap, salsa e grindcore. La title-track è un piccolo capolavoro: da un andamento iniziale
salseggiante si passa ad un ritornello pienamente nu-metal, dopo il quale viene ripresa la prima parte tra fiati e chitarra acustica. Il finale è caratterizzato da un riff pesante accompagnato da tromboni e sassofoni. Per non parlare della splendida e aggressiva “Fake”, il cui inizio prepotente ricorda i Sevendust, e lascia spazio poi ad un intermezzo jazzistico di gran gusto e davvero godibile. “Montate” è una canzone fortemente nu-metal con un cantato growl in stile Sepultura, un ritornello invece di gusto latino-americano, che sfoggia in un assolo di chitarra in cui è impossibile non pensare immediatamente al grande Carlos Santana. Quasi tutte le canzoni meriterebbero di essere descritte nei minimi dettagli. Mi limito a citarne altre tre di splendida fattura: “Whatever”, dalla cadenza funk e dal cantato in stile rap, con un assolo di chitarra che emula ancora una volta e in maniera perfetta Santana; “Solo”, che con i suoi cori e fiati a ritmo di salsa e merengue, alternati a una piccola parte metal, esprime in toto le caratteristiche peculiari della band portoricana. E infine “No inventes”, in perfetto crossover style latineggiante che strizza l'occhio ai Korn dei tempi migliori. Uniche pecche forse i testi un po' banali (ma è una pecca veniale) e alcune canzoni non all'altezza delle altre (come la rapeggiante “Keep it simple” e la ballata “Retro”). Per il resto, è incredibile ascoltare e scoprire come i Puya, in particolare con questo secondo album, riescano a far coesistere generi così diversi (soprattutto salsa e metal) all'interno di una canzone, attuandolo in un modo originalissimo, piacevole e di gran qualità.
Se amate il metal (ma questo è scontato) e almeno un pochino Carlos Santana, questo è un album da avere!
A cura di Marco "Marcoozzy84" Bevilacqua
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