Cosa suggerisce il fatto che il sommo drammaturgo
William Shakespeare un bel giorno scrisse “
Amore guarda non con gli occhi ma con l’anima”?
Ve lo dico io: che anche i migliori, ogni tanto, fanno cilecca.
Aggiungerei una ulteriore chiosa: uno dei rischi connaturati alla estrema prolificità artistica risiede nei temporanei prosciugamenti della sorgente creativa; dalle crepe nel terreno un tempo fertile, come immaginerete, promanano insalubri esalazioni di ristagno e… di banalità.
Se devo essere onesto, mi si accappona la pelle ad accostare simile termine al canadese, senz’ombra di dubbio nella top ten dei miei musicisti favoriti di ogni epoca e galassia; d’altro canto, pur rimanendo inalterata la stima che nutro per lui, non posso esimermi dall’esprimere una moderata delusione per la sua ultima fatica discografica.
E “fatica” pare proprio il vocabolo più adatto a descrivere
Z², vista la sua gigantesca mole: 23 canzoni per un totalone di ben 118 minuti di musica, suddivisa in due distinti macro capitoli.
Andiamo dunque a sviscerarli separatamente…
1-
SKY BLUEPremessa doverosa: il dischetto in esame non c’entra una cippa con
Ziltoid e le sue avventure all’aroma di caffè; per quelle dovrete attendere il secondo cd.
Nei solchi di
Sky Blue rinverrete invece il
Devin più intimista, contemplativo e new age; quello, per dire, che ha regalato al mondo opere del calibro di
Ocean Machine,
Terria e
Addicted. Già, peccato che qui manchi l’impatto emotivo del primo, la complessità strutturale del secondo e il gusto per la melodia del terzo. Vi sono similitudini anche con
Epicloud, eppure qui non troverete traccia dell’impetuosa freschezza che rendeva quest'ultimo speciale.
Stando alle interviste, il mood uggioso e malinconico dell’album trarrebbe linfa dalla scomparsa di persone care al povero
Townsend; alla luce di ciò, spiace ancor più dover rilevare una generale mancanza d’ispirazione compositiva.
Ok, parliamo pur sempre di un genio che non riuscirebbe a registrare un album brutto nemmeno se si impegnasse. Ma da chi è solito sfornare capolavori a raffica appare lecito attendersi qualcosa in più rispetto ai cori di
Before We Die, al groove dell’opener
Rejoice, alla crepuscolare epicità di
Midnight Sun -unico episodio davvero all’altezza delle aspettative- o alla suadente enfasi di
Universal Flame –sorta di
Save Our Now meno smaccatamente pop-.
Il resto, poi, annaspa nel limaccioso acquitrino della mediocrità: non basta l’angelica ugola della fidata
Anneke van Giersbergen a trarre in salvo linee vocali trasandate come quelle della strofa di Warrior; gli arrangiamenti elettronici presenti su
Sky Blue e
Silent Militia sono sì da pelle d’oca, ma per i motivi sbagliati;
Rain City valica troppo presto il confine della noia, mentre
A New Reign, se mi si concede la brutalità, è semplicemente inutile.
Devinino mio, soffro come un cane a scrivere certe cose. D’altra parte, se penso anche solo per un istante a brani come
Deep Peace,
Ih-Ah! o
Life, mi convinco ancor più che una (larga) sufficienza sia il massimo che posso concedere al primo dischetto.
Voto parziale: 62-
DARK MATTERSOh, eccolo qui il nostro adorabile alieno!
È ancora in forma come nell’ormai lontano 2007? Direi che se la cava benone, pur con qualche distinguo che solleveremo a breve.
Anzi, togliamoci subito i sassolini dalle scarpe:
Dark Matters riprende le sonorità aggressive e bombastiche che latitavano in
Sky Blue, ma la genuina, cruda follia che graziava il primo
Ziltoid non trova cittadinanza nemmeno qui. Si badi: di follia ce n’è quanta volete, ma più costruita, di maniera, direi addirittura forzata.
Oltre a ciò, ritengo che lo smodato utilizzo della voce narrante, per quanto godibile (pensate allo stile formale e impostato di un annunciatore radiofonico anni ’50) finisca per spezzare il natural fluire della musica, senza contare che non tutti conoscono così bene la lingua inglese o hanno voglia di seguire per filo e per segno la trama -riassumendo all’osso il concept:
Ziltoid dovrà stavolta salvare il nostro pianeta da una temibile
War Princess e dal suo esercito di
Poozers-.
Termino la rassegna delle note dolenti denunciando una prima fase arrancante:
Z e
From Sleep Awake (poco incisive),
Ziltoidian Empire (sconclusionata) e
War Princess (dalla durata esorbitante al netto delle idee contenute) mi avevano fatto temere per il peggio.
Fortunatamente, il prosieguo si assesta su livelli ragguardevoli: l’irruente
Deathray (deo gratias: finalmente un bel riffone!),
March of The Poozers (deo gratias parte II: finalmente una grande linea vocale!),
Ziltoid Goes Home (immensa prova del batterista
Ryan van Poederooyen per quanto, a volerla dir tutta, io la drum machine del primo me la godevo un bel po’) e il maestoso commiato affidato a
Dimension Z ci riconciliano con questa release e permettono di terminare l’ascolto con un sorriso stampato sulle labbra.
Il livello del predecessore non viene raggiunto, ma un “discreto” (come alle medie)
Dark Matters lo strappa eccome.
Voto parziale: 7Cosa si è inceppato stavolta?
Troppa carne al fuoco, due dischi che fra loro legano quanto
Steven Seagal e l’arte della recitazione, tanti passaggi a vuoto che mortificano i momenti di ottima musica. Sarebbe stato forse meglio scendere a miti consigli, concentrarsi sugli spunti migliori e limitarsi a un unico cd?
Io la mia idea l’ho maturata, e vi invito a fare altrettanto concedendo comunque una chance a
Z²: al di là delle recriminazioni di un recensore puntiglioso stiamo pur sempre parlando del grande
Devin, no?