Non è mai semplice parlare degli
Obituary. Una band il cui nome va oltre la semplice notorietà della nicchia di genere, con un passato talmente ingombrante che non si può né dimenticare, né nascondere sotto al tappeto.
Dopo un ritorno scoppiettante con “Frozen in time” nel 2005 la band è rapidamente caduta in una spirale di declino, non tanto con la pubblicazione di “Xecutioner return” (primo lavoro con Santolla alla chitarra), quanto con l’ultimo “Darkest day”, lavoro che ad esser gentili si può definire fiacco e con una pochezza di idee disarmante. A distanza di cinque anni il mio stomaco ancora si ribella al ricordo.
Capirete quindi perché quando è stato annunciata la pubblicazione di “Inked in blood” non ho nutrito particolari entusiasmi né aspettative nonostante la notizia della estromissione di Ralph Santolla che ha contribuito a snaturare non poco il marchio di fabbrica degli Obies.
Tirato il dovuto sospiro di sollievo, quello che abbiamo fra le mani è un classico album Obituary: ci sono i sofferti, inconfondibili, ruggiti di John Tardy, i riff taglienti partoriti dalle chitarre di Trevor Peres e del neo-ingresso Kenny Andrews, e la solida sezione ritmica della coppia composta da Terry Butler e Donald Tardy.
I brani dati in pasto come anteprima dalla Relapse non mi avevano completamente convinto a livello di produzione, specie per quello che riguardava la registrazione del cantato di John Tardy, che giudicai poco profonda e troppo distorta.
Il promo in mio possesso ribalta la sensazione precedente e ci riconsegna un cantato brillante ed energico, in linea con quella che è la tradizione e il blasone della band.
Ma alla fine com’è “Inked in blood”?
Il cd ci restituisce una band viva e in salute, nel complesso è forse anche un poco ruffiano perché in sostanza dà agli ascoltatori esattamente ciò che vogliono sentire: ci sono i brani veloci come un proitettile (v. l’opener “Centuries of lies”, “Violence”), quelli più cadenzati (v. “Violent by nature”, “Visions in my head”) e quelli sofferti (v. “Pain inside”, “Deny you”).
Ovvero la visione a 360° della musica degli Obituary.
Così un album che doveva autoconsumarsi nel giro di un paio di ascolti alla fine si lascia ascoltare e riascoltare più volte.
In tutta onestà non so se “Inked in blood”ci porterà in regalo una nuova, feconda, primavera, tuttavia segna una cesura netta e profonda coi disastri del recente passato e per questo motivo credo che tutti noi dovremmo ringraziarli con tutto il cuore.
Perché loro sono gli Obituary e una volta che ti entrano sottopelle ti marchiano come un tatuaggio, che potrà anche sbiadire, ma non cancellarsi.