Pistolotto iniziale...e che non si commetta l'imperdonabile errore di pensare "tutto questo stoner ha stufato, è tutto uguale, è di moda, lo fanno tutti..." no signori, il discorso va bene per i giovani pischelli che imboccano ora il sentiero musicale e si rifanno in toto ai portabandiera di questo genere; altra questione è parlare di questi musicisti che con una carriera formidabile hanno mantenuto coerenza e qualità a livelli altissimi.
Back From the Abyss potrebbe, alla luce di quanto detto, essere preso come l'ennesimo album degli
Orange Goblin, quando invece è un altro album degli
Orange Goblin fottutamente grandioso. Ce ne passa.
Fine del pistolottoRipercorrere la carriera degli inglesi dal 1995 ad oggi mi sembra superfluo, se state leggendo queste righe significa che qualche capolavoro come
Time Travelling Blues o
Coup De Grace lo conoscete, oppure uno qualsiasi dei loro 7 album precedenti a questo
Back From The Abyss lo avete ascoltato, quindi sapete delle loro origini più psych-doom che sono state alleggerite a favore di uno stoner a volte più tendente all'hard rock/metal, altre più blueseggiante o motorheadiano, vero? Vabbè, se non lo sapevate ormai ve l'ho detto. Spinti dal successo (finalmente la gente se n'è accorta) del precedente
Eulogy of The Damned che li ha portati anche a realizzare il live
Eulogy For The Fans, gli inglesi battono il ferro finché è caldo, fanno una bella scorta di birra ed entrano in studio senza far passare troppo tempo come successo in precedenza.
Bene, visto che le coordinate le abbiamo stabilite, tanto vale accenderci una "sigaretta farcita", salire sul pick-up e farci uno spazio-giro, direzione sconosciuta.
Questo nuovo capitolo inizia nel più classico stile
Orange Goblin con
Sabbath Hex che solamente verso 3/4 diventa riflessiva e rallentata, poco dopo
The Devil's Whip alza il tiro ed i giri del motore cominciano ad aumentare pericolosamente verso la zona rossa, il
Motorhead-sound prende piede e scuote tutto, per una frustata tanto breve quanto intensa. Finora possiamo considerarla una partenza abbastanza standard per i Nostri che con
Demon Blues cominciano a fare sul serio, il basso pulsa come sangue eccitato nelle vene, il sound scorre denso, le armonizzazioni sono riuscite e la canzone se ne esce con in refrain vincente che colpisce senza sputtanarsi. Spazio ora all'ipotetico singolo del disco,
Heavy Lis The Crown, dall'inizio blueseggiante, con una vena psichedelica rispolverata e la chitarra in primo piano che dipinge belle strutture ed accattivati melodie, prima che il ritornello sia appannaggio delle linee vocali, sempre sostenute magistralmente
Joe Hoare che continua a ricamare e arrangiare il pezzo con un piglio da jam session. Non vorrei annoiare troppo con questo track by track, vi basti sapere che l'animo blues continua su
Into The Arms Of Morpheus con un
Millard sugli scudi, prima che arrivi il piatto forte di
Mythical Knive, dall'inizio acustico che sembra introdurre una ballad e che invece si trasforma in un pezzo energico, suadente, trascinante, da lacrime. Una canzone che vale il disco. Dai che siamo in discesa verso la fine, una bella spinta ce la dà
Bloodzilla che arriva a scompigliare le carte e scatenare l'ignoranza rock 'n' roll ad alto voltaggio, questo fino a che dalla tasca di
Hoare esce un altro dei suoi infiniti riff e ti butta lì una
The Abyss e dopo pochi secondi il groove è totale e lo scapocciamento inevitabile. Si chiude lo spettacolo con
Blood of Them (preceduta e seguita da due brevi pezzi strumentali molto chitarrosi) ed è ancora una grande canzone, pesante, piena, grossa, parzialmente debitrice dei vecchi
Sabbath/Pentagram, ma con un quid diverso.
Per concludere, cerco di limitare un po' la mia esaltazione per questa band, assegnando un voto (quasi 8) probabilmente più basso di quello che si meriterebbero, visto anche i capolavori precedenti, d'altronde la loro ricetta a base di hard rock settantiano, doom, classic metal, blues e palate di stoner non sarà originale ma rimane vincente. Io mi accontento e godo.