Roberto Tiranti è delle migliori voci del
rockrama italico, in grado di rivaleggiare ad armi pari con i grandi campioni planetari della fonazione modulata.
Un assioma sostenuto da svariate fondate testimonianze (Vanexa, New Trolls, Labyrinth, A Perfect Day, …) e che oggi potrà trovare un’altra occasione di sacrosanta “certificazione” grazie ai
Wonderworld, un
power-trio che il
vocalist ligure spartisce con Ken Ingwersen (Kens Dojo, Street Legal) e Tom Fossheim.
Una collaborazione nata come
backing-band (i Live Fire) per la “nuova” vita artistica di Ken Hensley e poi, alimentata dall’affiatamento e dalla passione comune per l’
hard “classico”, culminata in questo progetto all’esordio ottimamente attrezzato per affrontare adeguatamente la convulsa tenzone contemporanea di settore.
Eh già, del resto il leggendario
keyboard wizard degli Uriah Heep non avrebbe mai potuto, dall’alto della sua esperienza, affidarsi a musicisti “qualunque” ed è sufficiente il primo contatto con “Wonderworld” per rendersi conto di non essere al cospetto di uno dei tanti (anche lodevoli) opportunisti del
revival settantiano.
Nonostante
monicker, titolo e “referenze”, sono però altri i britannici da cui i nostri traggono illuminata ispirazione … Deep Purple, Trapeze e Whitesnake sembrano i principali modelli originali di un gruppo che sa trattare con cultura e spiccata vitalità la codificata materia e che per questo piacerà verosimilmente pure agli estimatori di “gente” come Blue Murder, Dirty White Boy, Winery Dogs, Black Country Communion o dei recentissimi Red Zone Rider.
Tiranti intride di denso
feeling blues la sua flessuosa laringe (“roba” da rendere fiero il maestro Glenn Hughes e da far invidia all’ultimo Kelly Keeling) e fa pulsare il suo basso all’unisono con il martello ritmico di Fossheim, mentre la chitarra di Ingwersen furoreggia senza sterili onanismi … la fremente
title-track, “Break the chains”, la suggestiva “Surrender”, l’
hard-gospel “Every now and then”, la straordinaria “The sound of the world”, l’intensa “A new life”e poi ancora una riuscita trascrizione di “Voices” (curioso l’incrocio con i Cydonia di Dan Keying, che offrirono una versione dell’
hit Ballard-
iano nel loro “The dark flower”) rappresentano una fucina di suoni ed emozioni di retaggio “antico” e che affascinano come la “prima volta”.
Un esordio di gran classe per una formazione che “deve” proseguire il suo cammino nella
Grande Storia del Rock, in quanto capace di operare nel solco della continuità, ma con quello slancio nella rivisitazione “propria” che solo i migliori interpreti del genere possiedono.
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