Ve lo giuro, io c'ho provato, in tutti i modi, ho aspettato prima di scrivere questa recensione, ho ascoltato e riascoltato il disco, ho cercato di esaminarlo in maniera altamente critica, l'ho confrontato con alcuni dischi fondamentali del genere, ma niente, "Of Woe and Wounds" mi ha incatenato.
Parliamo degli
Apostle of Solitude, parliamo di Doom, parliamo forse del mio genere preferito, non il genere che ascolto di piu', ma se dovessi stilare una virtuale classifica dei miei dischi del cuore, ci sarebbero molti dischi doom o dischi dove comunque il doom c'entra qualcosa.
Gli americani Apostle of Solitude prima di questo album, pur apprezzandoli, non si erano guadagnati una grande attenzione da parte del sottoscritto, ma una volta entrato in contatto con il platter in questione, tutto e' cambiato. Come mai? Non lo so, non so come succede che una band valida ma "normale" si trasformi in un sol colpo in maestri di un genere difficilissimo da fare come il doom. Si perche' parliamoci chiaro, sbagliare un disco doom e' facilissimo, centrarlo e' difficilissimo. Le atmosfere plumbee, i ritmi lentissimi, i suoni giganteschi, pesantissimi, a lungo andare possono stancare e se non si e' veramente bravi, reggere alta la tensione per un intero full lenght, puo' diventare veramente una impresa complicata. Gli Apostle of Solitude riescono nell'impresa cosi bene che al contrario si arriva alla fine senza rendersene neanche conto. Colonne portanti della band sono il batterista Corey Webb e il cantante Chuck Brown, che peraltro possiede una voce clean ma estremamente espressiva, quasi evocativa e ha il grande dono di creare un contrasto affascinante con il nero muro sonoro alzato dal resto della band, come un raggio di sole che filtra in un cielo plumbeo che si prepara per una tempesta.
Un grande merito degli Apostle of Solitude e' stato quello di creare un sound doom a tutti gli effetti ma che utilizza anche elementi classic come accellerazioni o vere e proprie cavalcate metal o improvvise sferragliate alla Candlemass e guardate il nome Candlemass non mi e' uscito a caso perche' per tutto l'ascolto di "Of Woe and Wounds", il paragone con un disco come "Nightfall", ha fatto piu' volte capolino nella mia testolina. Ora a scanzo di equivoci, non sto' dicendo che il disco in questione possa essere eguagliato al capolavoro assoluto dei Candlemass, ma secondo me gli Apostle of Solitude ci si sono avvicinati molto soprattutto nello spirito. E qui lo so', ne sono consapevole, sto' rischiando, ma credo che uno delle responsabilita' di chi scrive di musica e' quella di essere sempre assolutamente trasparente con i propri lettori. Racchiusi in una intro strumentale affascinante, che poi si congiungera' come in un circolo perfetto con l' outro di chiusura, tutti gli 8 pezzi di cui si compone l'album sono di altissima qualita', giochi di chitarra sincopati, melodie a volte realmente epiche, come nel caso dell'opener "Blackest Of Time", o le grandi sfuriate metalliche di" Whore'Wings" o della stupefacente "This Mania". Ma ci sono i brani anche piu' tipicamente doom e non posso non citare "The Lamentations Of A Broken Man", con un incedere talmente maestoso e un ritornello cosi etereo da farmi provare delle vere sensazioni fisiche e qui l'accostamento a una canzone come "Samarithan" mi ha sfiorato piu' volte i neuroni. Particolarissimo anche l'andamento di "Siren" dove anche in questo caso la voce di Brown gioca una parte notevole, non un brano immediatissimo ma vi posso assicurare che esce alla grande sulla distanza. Altra assoluta perla del disco poi e' sicuramente "Luna" e tornando ai Candlemass una "Mourner's Lament" forse meno epica, piu' introspettiva, ma di sicuro non meno efficace. Bellissimo poi anche il suono delle chitarre in tutto il platter, un suono cupo e talmente avvolgente da poter risucchiare dentro di se' tutto il mondo.
Spero di avervi fatto capire quanto questo disco mi abbia colpito, forse come null'altro in questo 2014. Parlare di doom non e' semplice perche' rappresenta il lato spirituale della musica dura, e' il blues piu' intenso (questa la dedico a Stiv), e come tale il giudizio soggettivo ha un peso specifico ancora maggiore rispetto ad altri generi, ma come ho detto all'inizio io ce l'ho messa tutta per essere il piu' obiettivo possibile, ma di fronte a un tale fragore ardente e oscuro di vero metallo non ho potuto far altro che arrendermi.
A cura di Andrea "Polimar" Silvestri
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