Voi, ai tempi dell’asilo, vi dilettavate nel “
gioco del se”?
Io eccome, e visto che lo spettro della senilità mi avvolge ogni giorno di più, ci riprovo prima che sia troppo tardi.
Allora: “
se gestissi una label e potessi scegliere dieci band da mettere sotto contratto, quali sceglierei?”
Beh, per stilare la lista definitiva avrei bisogno di qualche giorno di riflessioni; ad ogni modo, un nome che non potrebbe mancare per nessun motivo nella scuderia della
Cafo Records (il nome fa schifo, lo so) sarebbe quello degli
Enslaved: la loro integrità artistica, il loro talento puro, la loro evoluzione stilistica e la loro incrollabile continuità avrebbero costituito un fiore all’occhiello della mia etichetta immaginaria.
Il nuovo album
In Times, lo vedete dal voto a margine, non avrebbe fatto che confermare la bontà della mia scelta.
La compagine scandinava decide saggiamente di proseguire lungo le coordinate tracciate dallo stupendo
RIITIIR, ma non si percepisce stagnazione alcuna nel songwriting dei Nostri, statene pur certi.
Nel solco della continuità anche i suoni dell’opera: come per i due precedenti lavori la premiata ditta
Bjørnson,
Larsen e
Grutle -senza sottostimare i servigi di
Jens Bogren (mix) e
Tony Lindgren (mastering)- ci regala una produzione calda, bilanciata e organica al punto che sembra quasi far respirare le composizioni.
Ecco, è proprio così: i brani di
In Times sono come le enormi creature del videogame
Shadow of the Colossus (io cerco di arginarlo, ma ogni tanto il nerd che è in me esce allo scoperto): si muovono, si contorcono, corrono e rallentano d’improvviso, schiumano rabbia un istante per poi placarsi quello successivo, suscitano timore ma anche rispetto e ammirazione, seguono pattern dapprima imperscrutabili che, tuttavia, decripterete sempre più ad ogni ascolto.
Punti deboli? State scherzando?
Di fatto, ogni canzone meriterebbe una recensione a sé tanto è densa, ricca, varia e profonda. Il progressive, il metal estremo, il rock psichedelico s’intrecciano di continuo senza forzatura alcuna; nei cinquanta minuti abbondanti che compongono il platter scoverete infiniti spunti, ma non ne individuerete nemmeno uno che sia superfluo o fuori luogo, così come non potrete lamentarvi per la ragguardevole durata media dei pezzi, visto che di appigli per dispersività o noia non v’è traccia.
Potrei rimarcare quanto magnificenti siano i chorus in clean della title track e di
Building With Fire; potrei segnalarvi il riffing prorompente dell’opener
Thurisaz Dreaming -altro che la California…-, il guitar solo di
Daylight, i chiaroscuri emotivi di
Nauthir Bleeding o i ricami strumentali di
One Thousand Years of Rain… ma in tal modo, come vedete, ho già citato l’intera tracklist.
Facciamo così: già che ci siete ascoltatevelo tutto. Ne vale la pena, fidatevi.
Eh già, se
In Times fosse uscito per la
Cafo Records (lavorerò sul nome, promesso) ne sarei orgoglioso per il resto dei miei giorni.
Adesso la smetto di fantasticare e torno al (vero) lavoro; voi, appena potete, accaparratevi l’ennesima perla di un gruppo straordinario.