Come probabilmente sapete, il mio “rapporto” con i
Feline Melinda ha origini lontane (dal primo contatto sono passati più di venticinque anni …
sob!) ed è quindi naturale per il sottoscritto accogliere ogni loro nuovo lavoro con grande soddisfazione.
Una dimostrazione di fedeltà e costanza che “scalda il cuore” e che consente d’inserire l’inossidabile Rob Irbiz,
leader storico e
mastermind della
band, nella schiera di quei pionieri irriducibili del
rockrama tricolore, la cui passione non è stata minimamente scalfita da tutte le difficoltà e le diffidenze che suonare
heavy metal nel nostro Paese ha inevitabilmente comportato in questo lungo periodo di militanza.
Ciò detto, sono anche costretto ad ammettere che l’ascolto di “Dance of fire and rain” ha purtroppo arginato il mio entusiasmo iniziale.
La scelta di far propendere il suono del gruppo verso lidi di accondiscendente
power metal, mitigando stavolta gli influssi di
hard melodico (invertendo, in pratica, i fattori rispetto al precedente “Morning dew”), non mi vede, infatti, particolarmente favorevole, considerando l’affollamento del settore e la sua eccessiva omogeneità.
Così facendo, i Feline Melinda, a mio modo di vedere, perdono parte della loro personalità artistica, capace di dare il meglio di sé in ambiti maggiormente
classy, seppur innervati da una notevole possanza.
A onore del vero, il disco è piuttosto ben fatto e gradevole, ma francamente ritengo che il rischio di finire per essere catalogati tra i “tanti” frequentatori del genere sia troppo elevato e non renda piena giustizia a questi veterani della scena.
In ogni caso, se amate le atmosfere
powerose, enfatiche e radiose (e un pochino
kitsch …) di parecchio metallo nordico, è probabile che apprezziate pure il modo in cui gli altoatesini affrontano la materia, riuscendo a sopperire con tecnica e buongusto alle inevitabili penurie di fantasia.
Ottimamente suonato e interpretato, il programma scorre piacevolmente senza particolari sussulti (forse solo la bella “Girlfriend” offre qualche “guizzo” degno di nota), con un paio di episodi che tentano di allontanarsi dal canovaccio base, ottenendo risultati contrastanti (buona “Mountain girl”, leggermente stucchevole “Luna”) e lasciando nell’astante affezionato la netta sensazione di un tentativo di allineamento a sonorità molto rigorose (e, nonostante tutto, ancora piuttosto popolari), con l’inevitabile conseguenza di una perdita complessiva di freschezza e di efficacia.
Per questioni anche squisitamente “affettive”, auguro tutto il meglio a questi ragazzi, invitandoli, però, per il futuro, a non escludere del tutto la possibilità di riconsiderare alcune delle loro attuali preferenze stilistiche.