“
E cosa ti aspettavi Cafo? Uno stravolgimento di sound che ti avrebbe stampato una espressione ebete di quelle da lasciar perplessa e compatita -per l’ennesima volta- tua moglie?”
Questa la frase, pronunciata col consueto tono acido, che il diavoletto della mia coscienza metallica mi sussurra nelle orecchie mentre ascolto per l’ennesima volta
One Man Army.
La risposta, in effetti, è no: dagli
Ensiferum non pretendevo nulla di diverso, ma qualcosa di più forse sì, tanto che la mimica facciale che si sta sorbendo or ora la mia consorte è piuttosto quella apatica di chi imbocchi per la milionesima volta l’ingresso dell’ufficio.
Questo perché il disco proprio ciò mi suggerisce: routine, serialità, mestiere. Di buon livello, certo, ma pur sempre mestiere.
A voler ben guardare, la pura ispirazione si era rivelata elusiva chimera già in occasione del precedente
Unsung Heroes, laddove
Markus Toivonen e soci indulgevano sin troppo nella formula dei mid tempo epici, per un risultato finale nel complesso fiacco -almeno per il sottoscritto: la brava
Laura Archini, al contrario, gradì non poco, tanto da assegnare su queste pagine virtuali un 10 (!) tondo tondo-.
One Man Army non presenta sensibili migliorie in tal senso; peccato, perché dopo la consueta intro sinfonica ero stato davvero folgorato da
Axe of Judgement: ritmo tiratissimo, riffing implacabile e doppia cassa a cascata pur senza rinunciare ad un’oncia del pathos vichingo che contraddistingue i Nostri.
Ci accorgiamo altresì dell’encomiabile lavoro svolto dietro la console dal produttore
Anssi Kippo negli
Astia Studio di
Lappeenranta. Sarà anche un assillante pignolo come narrano le cronache, ma i risultati gli danno ragione: i suoni ragionevolmente asciutti, le keyboards e i cori, che non debordano ma convivono con un guitar sound possente, donano ai brani la miglior veste possibile.
Purtroppo sono proprio i pezzi in sé ad evidenziare più di una falla: dopo il folgorante incipit non resta che rassegnarsi ad una scolastica alternanza tra mid tempo e pezzi più tirati.
Nella prima categoria (preminente, anche in questa occasione) annoveriamo
Heathen Horde, canzone che gli
Ensiferum hanno già composto in svariate occasioni dandole ogni volta un titolo diverso;
My Ancestor’s Blood, idem con patate come si diceva una volta;
Warrior Without a War, discreta cavalcatona;
Cry for the Earth Bounds, sovrabbondante più che maestosa, infarcita di cori che nel finale divengono addirittura stucchevoli.
Allorquando i finnici decidono di pigiare sull’acceleratore si registra qualche sussulto: la scatenata title-track e la sbarazzina
Two of Spades, con quell’inatteso break centrale alla
Bee Gees (!), hanno quantomeno il pregio di aggiungere un vago retrogusto thrash alla miscela sonora e di conferire brio ad una tracklist che espone il fianco alla noia.
Discorso a parte per l’immancabile tour de force da oltre dieci minuti, che lo scorso giro rispondeva al nome di
Passion Proof Power (non imbattibile, a mio giudizio) e che stavolta viene rappresentato da
Descendants, Defiance, Domination.
La canzone ci mette decisamente troppo ad entrare nel vivo e smarrisce la strada maestra in più di un frangente, ma nel complesso riesce a farsi apprezzare; fosse durata la metà, d’altro canto, credo che nessuno si sarebbe lamentato.
Chiusura dal sapore sospeso tra lo spaghetti western -sembra essere l’ultima moda in campo metal-, il valzer e, se me lo permettete, il liscio romagnolo di
Neito Pohjolan; a dispetto di quanto si possa pensare, si tratta di un episodio leggero ma godibile.
il vero problema, passando alle considerazioni di carattere generale, è che gli
Ensiferum sono ormai noti agli inquirenti, non fanno alcunché per mutare una virgola della loro musica che, ahimè, inizia a odorare di stantio. Ripeto: non parliamo né del genere né della band da cui è lecito attendersi repentini cambi di rotta, ma la sgradevole sensazione di “compitino” che si diffonde da
One Man Army è troppo forte per sottacerla.
Seri candidati al titolo di impiegati del mese.