Volete sapere cosa sarebbe potuto accadere se Ritchie Blackmore avesse deciso di continuare a elargire la sua arte nell’ambito
dell’hard-rock, magari coinvolgendo nell’impresa pure la mogliettina Candice Night? In caso affermativo, non vi rimane che affidarvi a
Will Wallner & Vivien Vain.
Ok, forse ho un po’ “esagerato”, lasciandomi condizionare da un’atmosfera alla “Sliding door” (o meglio ancora alla “What If”, per tutti i Marvel-
iani alla lettura) e da un approccio superficiale a questo “The battle of the clyst heath”, un lavoro piuttosto competente e godibile che, nonostante le affinità, non attinge a un’unica fonte per la sua esposizione artistica e non merita di finire annichilito da paragoni per molte ragioni improbi e improponibili.
Infatti, se è vero che nelle vene del chitarrista inglese e della cantante croata brucia il sacro fuoco di numi tutelari come Deep Purple e Rainbow, è anche evidente che i confini della loro devozione si allargano a Thin Lizzy, Dio e Gary Moore, non a caso omaggiato (con il contributo dei maestri Vinny Appice, Neil Murray e Don Airey) in una sentita riedizione della splendida “The loner”.
Con uno stile chitarristico capace di evocare altresì le virtuose effigi di John Sykes e George Lynch, Will (già attivo con i White Wizzard, al pari del batterista Giovanni Durst) domina la materia con gusto e competenza, consentendo alla voce di Vivien (per la cronaca decisamente più pragmatica di quella della signora Blackmore!) di palesare una notevole proprietà espressiva e interpretativa, all’interno di schemi sonori sicuramente poco innovativi e tuttavia sempre assai coinvolgenti.
Tutto molto “familiare”, dunque, e ciononostante, qualora siate
aficionados del settore, ecco che ascoltare “The wars of the roses”, la contagiosa “Visions of home”, le lucide cromature di “Eye of the storm” e “You won’t take me alive” e ancora le melodrammatiche pulsazioni melodiche della
title-track, vi costringerà, di fatto, a dover poi fatalmente “subire” imperiosi brividi di approvazione.
Menzione speciale, infine, per “Black moon” (
featuring Carmine Appice e Tony Franklin), gravida di enfatico magnetismo, mentre di “Blade runner”,
cover di Vangelis (
soundtrack dell'omonimo capolavoro di Ridley Scott), si apprezza soprattutto la capacità di saper rappresentare qualcosa di più di una piacevole diversione.
Un bel dischetto, dunque, che celebra efficacemente la storia del genere e ne garantisce la “conservazione”, anche in assenza di alcuni dei suoi ideatori, ormai definitivamente persi in (remunerative) chimere celtico - medievali.
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