Non credo abbia più molto senso recensire un nuovo disco dei
Running Wild: sono ormai vent'anni che questa band (se ancora di band si può parlare e non piuttosto di un mero progetto solista del sempre grandissimo Rock 'n Rolf) ci propone la solita ricetta a base di heavy metal, rock, crauti e cori pirateschi senza variarla di una sola virgola. Chi li adora, non appena vedrà "Rogues en vogues" nella vetrina del negozio, lo comprerà senza esitare, chi li odia lascerà perdere e si butterà su qualcos'altro.
Ad uso e consumo di tutti gli altri, lasciatemi dire un paio di cose: i Running Wild hanno rappresentato, almeno fino alla metà degli anni '90, una delle migliori realtà del metal teutonico, autori di una musica semplice sì, ma straordinariamente potente ed efficace, soprattutto in sede live, anche se noi poveri italiani abbiamo potuto goderceli poco (due sole calate nel nostro paese, ed entrambe nel loro periodo di declino). E' vero che la loro coerenza stilistica ha dell'incredibile, che hanno scritto decine di dischi cambiando solo i titoli delle canzoni, ma bisogna ammettere che qualche grande disco l'hanno fatto eccome, per il sottoscritto almeno tre molto vicini al capolavoro ("Under Jolly Roger", "Death or Glory" e soprattutto il magistrale "Black Hand Inn") e un paio di alto livello ("Port Royal" e "Masquerade", il loro ultimo veramente all'altezza).
Purtroppo da un po' di anni a questa parte, il buon Rolf Kasparek sembra essere precipitato in una allarmante crisi creativa, producendo lavori assai mediocri e ben poco degni di essere tramandati ai posteri (valga per tutti l'ultimo "The Brotherood"), e scegliendo proprio questo momento difficile per pubblicare un altro live album (alzi la mano chi è rimasto veramente soddisfatto da "Live" del 2002).
Questo "Rogues en vogue" rappresenta dunque un test cruciale per capire se ci sia ancora posto per i Running Wild tra i grandi del metal... Se il buon giorno si vede dal mattino, "Draw the line" promette tempesta, col suo mid tempo rockeggiante e la sua tremenda staticità (ahimè, Jorg Michael dietro alle pelli era un'altra cosa...) e sinceramente viene già voglia di cambiare cd... per fortuna la successiva "Angel of mercy" gioca la carta della velocità ma, pur aprendosi con un buon riff (scopiazzato da "I want out"?), non riesce a colpire nel segno. Stessa cosa dicasi di "Skeleton dance", mentre l'anthemica "Skull & Bones" (indovinate un po' di cosa parla?) convince abbastanza.
Siamo ormai abbastanza avanti nell'ascolto per capire che cos'è che non va: la band ha deciso di abbandonare quasi del tutto le grandi cavalcate del passato, per concentrarsi su pezzi più robusti e cadenzati, ma sono davvero pochi i riffs ispirati e i ritornelli (un tempo il loro maggior punto di forza) sono proprio scialbi, davvero incapaci di cogliere nel segno.
"Born bad, dying worse", "Black gold" e "Soul vampires" ci confermano questa impressione, ma proprio quando sta arrivando impietosa la stroncatura, ecco il brano che non ti aspetti. Sto parlando della title track, che si apre con un bel riff alla "Black hand Inn" e continua in maniera egregia, azzeccando anche il primo ritornello di tutto il disco: davvero un bel pezzo, sarà perfetto dal vivo.
Le sorprese, per fortuna, non finiscono qui, perchè anche "Dead man's road" si rivela piacevole, col suo robusto 4/4 e il chorus dal tipico flavour RW, mentre "The war", lunga ed epica track dedicata allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, possiede davvero tutte le caratteristiche per essere inserita tra le migliori songs di sempre dei pirati teutonici, soprattutto grazie agli intrecci chitarristici, che spesso e volentieri richiamano alla mente marce militari e canzoni patriottiche dell'epoca.
Tre pezzi su undici sono senza dubbio pochi, ma almeno abbiamo la conferma che Rock 'n Rolf non ha completamente consumato le sue cartucce. Chissà che il prossimo album non possa essere un nuovo capolavoro...
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?