Copertina 7

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2015
Durata:47 min.
Etichetta:Massacre Records

Tracklist

  1. GOLDEN PATH
  2. CARTAGHO
  3. UNDER THE SIGN
  4. VON GOTT
  5. APOSTATA
  6. LEG V
  7. MIND
  8. UMBRA
  9. FRANKENLAND
  10. FATUM

Line up

  • Gunther Theys: vocals
  • Erik Sprooten: guitars
  • Domingo Smets: guitars
  • Walter Van Cortenberg: drums

Voto medio utenti

Nove anni non son pochi, e vi basterà osservare una fotografia del 2006 che vi ritragga per rendervene tristemente conto.
Quando si parla di musica, però, nove anni posson volare in un battito di ciglia: è senz’altro il caso degli Ancient Rites.
Certo, anche loro si sono incanutiti e sfoltiti (la line up conta oggi quattro membri effettivi), ma il trademark sonoro abbracciato col precedessore Rvbicon rivive in questi solchi pressoché immutato.

Ciò è bene?
In termini generali direi di sì: Laguz (runa che, se non erro, rappresenta la forza vitale sprigionata dall’acqua) è certamente un album di discreta caratura. L’extreme epic metal che fonde black, power, folk e death condito con testi a sfondo storico che i belgi hanno perfezionato negli anni torna una volta ancora agguerrito, suggestivo, professionale e ricco.
Molto ricco.
Forse troppo ricco.

Nel fantastico (?) mondo del diritto si suol dire che “nel più sta il meno”.
Tradotto: inutile arrovellarsi circa l’opportunità di elaborare l’ennesima eccezione di rito, inserire nelle conclusioni una ulteriore richiesta in subordine o domandare una copia ad uso notifica di un atto giudiziario in più.
Nel dubbio, lo si fa.

Applicato al metal, invece, l’assunto di cui sopra non sempre funziona: aggiungere elementi, orpelli, abbellimenti, strati e fronzoli al proprio sound difficilmente contribuisce a migliorarne la resa.
Così fosse, l’ultimo Blind Guardian sarebbe uno dei più grandi dischi di tutti i tempi… e ci siamo capiti.

A mio modesto avviso, Laguz patisce a causa di questo equivoco: la magniloquenza si tramuta talvolta in opulenza, e la ricchezza in sovrabbondanza.
Questo avviene a tutti i livelli: l’elaborata struttura dei brani, i suoni rotondi e cristallini scelti dal produttore Christian “Moschus” Moos, gli inserti sinfonici onnipresenti e preponderanti a livello di mixing, la scelta di “spalmare” le vocals -con linee spesso doppie o triple- andando a coprire un po’ il guitar sound, minuzioso ma mai protagonista e mai davvero cattivo…
Peraltro, tanta fastosità ornamentale non riesce nell’intento di distrarre l’ascoltatore, che si accorgerà presto come le canzoni mostrino qualche inciampo e tendano ad assomigliarsi un po’ troppo l’una con l’altra.

Sia chiaro: non avrei certo desiderato un ritorno al crudo black degli esordi. Sarebbe stato incongruo e, se me lo si concede, patetico. Nondimeno, un sound sì epico e pomposo eppur con una produzione più secca, orchestrazioni meno invadenti e maggior attenzione a melodie e riff, come avveniva nello stupendo Dim Carcosa, si sarebbe fatto forse preferire.

In barba alle recriminazioni di un recensore pedante, v’invito comunque a godere della bellezza di brani come Frankenland -una delle meno cinematografiche del lotto-Under the Sign, Cartagho Delenda Est –locuzione che ai tempi delle superiori una mia compagna di classe tradusse con “la tartaruga deve andarsene”; momenti che entrano nella storia…- o Fatum, ballata medievale che chiude l’album in modo cheto, come faceva la title track del già citato Dim Carcosa

Gli Ancient Rites, dunque, sono di nuovo fra noi, e non possiamo che rallegrarcene. Vedremo se il prossimo full lenght -non fateci aspettare altri nove anni, ok?- avrà mire meno hollywoodiane…

Nel frattempo bentornati.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 20 feb 2015 alle 17:40

Quando ho visto questo disco ho pensato "caxxo, gli Ancient Rites! Esistono ancora? Ascoltavo Rvbicon quasi dieci anni fa, avevo ancora la vecchia auto... chissà cosa hanno fatto nel frattempo!". Niente pare :) Grande Cafo, appena riesco mi ascolto questo Laguz

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