Ispirano istintiva simpatia i Cenere, con questo Ep intitolato “Non c’è niente da vedere”.
Sarà per il titolo, sarà per l’enigmatica e sorprendente copertina (belle le foto di Francesco Acerbis) o per esordire con una traccia singolarmente denominata “Modena è una pietra sullo sterno” o ancora la curiosità suscitata da una descrizione dei tratti del proprio stile così esplicitata “… nei pezzi si possono trovare tracce di distorsori, catarro, anemoni, viole e violini, Berlino, pietre e gigli morenti, virus, sostanze psicotrope, pupazzi, bambine che urlano, falene, sputi e orpelli incastrati qua e là …”; la cosa importante è che si diventa naturalmente predisposti in modo favorevole all’ascolto di quest’esordio (almeno è quello che è capitato a me!).
Analizzando nel dettaglio la biografia, si scopre, poi, il loro curriculum significativo fatto di collaborazioni “eminenti” (Alberto Cottica, Gianni Maroccolo, Manuel Agnelli, Cristina Donà, nell’ambito dell’esperienza formativa per gruppi emergenti Fronte del Palco), d’esibizioni live a supporto di Bugo, Giorgio Canali e degli Ash, per giungere alla pubblicazione di questo dischetto registrato da Andrea Rovacchi, noto per il suo lavoro con Marlene Kuntz, Julies Haircut e Giardini di Miro’.
Si arriva (finalmente, qualcuno potrà pensare!) alla musica, avviata, come già accennato, da “Modena è una pietra sullo sterno” nella quale appare evidente che, soprattutto vocalmente, la cooperazione con Agnelli, non è passata senza “conseguenze”: l’influenza dei registri e del modo di cantare del singer degli Afterhours è, in alcuni momenti, piuttosto rilevante ed il brano, nonostante il deja-vu, è alquanto piacevole, con chitarre poderose e ritmiche incalzanti.
Nei brani successivi, la contiguità con il modello citato, pur sempre presente, diminuisce d’intensità mescolandosi ad altri riferimenti quali Marlene Kuntz (degli esordi), Verdena e lontani richiami ai Ritmo Tribale, il tutto amalgamato con discreta qualità e buone potenzialità generali.
L’ambito è chiaramente quello aderente al versante maggiormente distorto e “rumoroso” del rock alternativo italiano, senza grossi stravolgimenti, ma grazie alla tecnica strumentale ed ai precisi arrangiamenti, il quintetto emiliano riesce abbastanza spesso a non difettare in efficacia.
A parte qualche piccolo eccesso, molto adeguata appare la voce di Luca Amadessi, coadiuvato dalle ottime chitarre Paolo Gobbi e Valerio Gilioli, che macinano riffs tumultuosi e costruiscono atmosfere ipnotiche con il supporto di Luca Migliori al basso e Massimo Pizzano alla batteria, sempre molto puntuali e opportuni nei contributi ai rispettivi strumenti.
Tra le otto tracce emergono prepotentemente l’umorale “Geopsiche”, tra strappi veementi e atmosfere più rarefatte, la stupenda “Anni:luce”, una ballata energica dal bel refrain e dal notevole ricamo chitarristico, le affascinanti dissonanze di “Vortici”, caratterizzata, ancora una volta, da un ottimo ritornello … brani veramente riusciti e altamente soddisfacenti.
La successiva ”Difetti”, seppur evidenziante un buon “tiro” e considerevoli doti d’accessibilità con relative probabilità di riscontro “commerciale”, non convince pienamente, mentre ”Dove mi perdo” e ”Tokyo Blues” appaiono discrete, ma non raggiungono l’eccellenza del trittico citato in precedenza.
Chiude il disco la furia un po’ artificiosa e prevedibile di ”Acre”.
I testi appaiono abbastanza stimolanti nei soggetti affrontati e anche se talvolta le metriche sembrano un po’ “laboriose”, si nota una certa accuratezza nelle costruzioni liriche e negli accostamenti sintattici.
Tutto sommato, si può dire che l’impressione positiva “a priori” sia stata confermata “anche” dai contenuti musicali, soprattutto in quelli dei brani meglio riusciti, veramente di grande valore ed affioranti da un livello medio, comunque più che sufficiente.
E’ chiaro che se il songwriting dei Cenere saprà allinearsi in modo più esteso a questi piccoli “gioiellini”, aumentando anche un po’ l’aliquota di personalità, si potrà parlare di un gruppo effettivamente di caratura superiore, da inserire di diritto tra i nomi “nuovi” più interessanti dell’alternative rock tricolore … consideriamo “Non c’è niente da vedere” come un sostanzioso avvicinamento in quella direzione … la speranza è che le prossime mosse possano condurre le illuminazioni presenti nel disco a realizzarsi in maniera più ampia e compiuta. Da seguire con attenzione.