Che
Tomas "Tomrocker" Toffolo fosse un personaggio camaleontico e intraprendente lo avevo già “intuito” ascoltando (e recensendo su queste stesse colonne) “
Uprising” dei Why Out (lavoro dal quale, tra l’altro, viene prelevato e qui riproposto in veste di
bonus-track lo stralunato
crossover “DGRZ”) e analizzando la sua corposa e variegata storia musicale (Stygma, Black And Purple, Hands Of Doom Milano, …).
L’inappellabile conferma arriva con questo suo progetto solista a nome
Can Of Soul, sigla responsabile di un disco sicuramente sorprendente e (ancora una volta) leggermente
disorientante, per la varietà dei suoni e delle suggestioni stilistiche.
In “Hearreality” convivono, infatti,
alternative metal, (parecchia)
dark-wave, scorie
industrial,
hard-rock,
punk e qualche rivolo
doom, in un frullato sonico capace di deflagrare nei sensi dell’astante con notevole forza espressiva e creativa, lasciandolo, però, verosimilmente, pure un po’ frastornato, in tempi in cui sembra ormai “indispensabile” classificare rigorosamente ogni forma di manifestazione artistica.
Al di là di ogni considerazione “sociologica”, è comunque necessario sottolineare quanto tutto questo febbrile eclettismo presenti ancora qualche margine di miglioramento nei settori equilibrio ed empatia, da considerare, tuttavia, l’estrinsecazione di un
deficit abbastanza “marginale” quando poi dal programma dell’opera emergono con prepotenza la furia cibernetica di “We hate the sun” e le torbide e policrome inquietudini di “This order #5”, “Mystic” (impreziosita da un sax algido e magnetico), “My queen” (un momento di poesia
dark meritevole di lode pressoché incondizionata) e "Demon eater” (il
break doom-esque è una piccola
genialata), materiale “fuori dall’ordinario” che non dimentica di fornire anche un’indispensabile gratificazione emotiva.
Aggiungendo, inoltre, una trascrizione di "Bette Davis eyes” (brano portato al successo nel 1981 da Kim Carnes) ricca di temperamento e l’accattivante crescendo apocalittico concesso a “Beyond my wayward zen garden” (appena ridondante ma rivelatore di un considerevole potenziale, parzialmente inesplorato), si perviene a un
Cd che potrebbe piacere a personalità irrequiete e visionarie come quelle di Devin Townsend, Mikael Akerfeldt e Peter Tagtgren, e che non mancherà di appassionare i
rockofili meno amanti delle convenzioni, che ne apprezzeranno, magari sorvolando su un
concept lirico di natura fantascientifica non proprio
sbalorditivo, la tensione e l’imprevedibilità, pregustando fin da ora le future evoluzioni di un musicista carismatico, enigmatico ed estroso.
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