Fa piacere, in tempi di diffuso
revival settanta-ottantiano, apprendere che c’è fortunatamente ancora qualcuno che non si è dimenticato il valore del
crossover anni novanta, uno dei pochi fenomeni artistici e culturali veramente innovatori offerti dagli ultimi venticinque anni della favolosa storia del
rock n’ roll.
Sebbene esauritosi forse troppo in fretta sotto il profilo ispirativo e creativo, il concetto stesso di un’ibridazione “globale” di suoni, capace di fungere da efficace colonna sonora per tempi pregni di disagio, isteria e violenza (in aperta contrapposizione all’immagine finta e ipocrita che i
media tentavano di spacciare come realtà), ha rappresentato un’eccitante “forma d’intrattenimento”, dove sperimentazione, energia, rabbia e, molto spesso, invettive sociali e politiche, riuscivano a convivere in una formula espressiva emancipata, trascinante e pe(n)sante.
I campani
Jano's Head, al debutto con questo “The invisible hand” (titolo mutuato da una teoria elaborata dallo scozzese Adam Smith sugli effetti non intenzionali delle azioni individuali in ambito economico), “riscoprono” proprio quel tipo di sfrenato immaginario sonico, in una babele di suggestioni in grado di evocare dai Beastie Boys fino ai Korn, passando per Urban Dance Squad, Limp Bizkit, Mudvayne e Rage Against The Machine (a cui aggiungerei la
soundtrack di “Judgement night” … un vero “scontro” di generi …) e tenta di lacerare le “convenzioni” attraverso un linguaggio non del tutto “inedito” e tuttavia abbastanza intenso e credibile, adattissimo a interpretare pure le feroci contraddizioni del terzo millennio.
Grazie ad un approccio sufficientemente “fresco” e a una notevole disinvoltura, la
crew di Salerno dimostra di saper attirare gli estimatori del settore meno “estremisti” (ascoltare il contagioso singolo “Oracle in a box” o il tocco alla Godsmack di “Oak chestnut's leaf”), rivelando al contempo però di conoscere piuttosto bene l’arte della “brutalità suburbana” (“Pig pen”, “Pyramid”), il potere seduttivo dei
groove hip-hop (“Back 2 da rootz”, realizzata con Pacman,
rimatore dei pugliesi Backjumper) e il loro potenziale “contaminante” (“Rise up!”, un episodio
rap/metal di spessore), finendo per consegnare a un mercato discografico apparentemente soggiogato dalla “tradizione” un
album interessante e per certi versi “coraggioso” … una scelta ammirevole, che speriamo possa essere anche tanto “vincente” da consentire ai Jano's Head una naturale crescita ed evoluzione.
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