A meno di due anni di distanza dal precedente
Summon the Faithless, tornano i
Lord Dying, band di Portland che nell'estate del 2013 era riuscita portare muffa e grezzume negli scanzonati mesi più caldi, con le armi dello sludge e del groove.
Che ci crediate o no, il nuovo
Poisoned Altars è un disco-fotocopia del precedente buon debutto. Sempre 8 i pezzi, durata totale uguale, copertina simile, ma soprattutto canzoni assolutamente intercambiabili tra i due lavori. Non lo dico con accezione negativa, non è un male, visto che lo sludge imbastardito con lo stoner di derivazione
High on Fire/Crowbar che propongono i nostri funziona davvero bene.
Chi invece si affaccia per la prima volta sulla musica dei
Lord Dying, può godere del groove, dei riverberi, del suono lento e denso, delle spruzzate thrash, della monoliticità della loro musica, cantata con una voce che richiama molto quelle di
Kirk Windstein e il
Phil Anselmo più incazzunito. Canzoni abbastanza lente, dense, grezze ma potenti che ospitano di sovente una parte centrale più diretta e thrashy o brevi divagazioni strumentali dal vago sapore blues/space.
Due i pezzi che si staccano un attimino dagli altri, parlo di
An Open Sore brano parzialmente melodico (rispetto ai loro standard), anche per l'utilizzo meno corrosivo della voce che vira al pulito in un paio di occasioni, e di
Suckling at the teat of a Sheabeast (?!) canzone che rimane sempre carica pur cambiando struttura, ha un livello tecnico superiore ed ospita per la prima volta un assolo degno di chiamarsi tale.
A dispetto della sua estrema semplicità,
Poisoned Altars è un disco che richiede ripetuti ascolti perché si riesca ad entrare in sintonia con la musica che contiene, ma piace e convince. Se cercate cose precise, leccate, "tutte a modino", statene lontani.
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