Quando il disco dei
Visigoth è arrivato sulle nostre scrivanie sarebbe stato facile immaginare cosa avrebbe contenuto. Visto l'artwork ed il nome della band è balzata subito alla mente l'idea che si trattasse del "solito" album folk-mischiatoconqualcosa metal a sfondo norreno; il tutto ancor più giustificato dal fatto che
"The Revenant King" esce per Metal Blade, etichetta che ha sotto contratto i mitologici Amon Amarth. E invece no! I
Visigoth appartengono probabilmente all'epoca degli stessi visigoti, riportando alla vita quell'heavy metal classico dei primi anni Ottanta, niente fronzoli od orchestrazioni impure ad intasare il sound.
Appena inserito il disco ci si trova subito di fronte ad un album veramente old-style; anche lo stesso stile di registrazione può ricordare il NWOBHM (nominiamo ad esempio gli Angel Witch), con una produzione che scava nell'intimo dell'artista mettendone a nudo tutti i pregi e i difetti. In questo caso però il valore va oltre la mancanza.
"The Revenant King" ha una durata di circa sessanta minuti e i pezzi al suo interno sono soltanto nove, quasi tutti con una lunghezza che oltrepassa i sei minuti. I Visigoth dimostrano già una maturità nel songwriting, essendo solamente al primo full-length, basti ascoltare l'opener e title-track di ben otto giri di orologio. Un pezzo accattivante, deciso, possente, dalle leggendarie reminiscenze, con un chorus antemico ed orecchiabile che non guasta mai. Magia, folklore ed un background fantastico sono egualmente presenti in
"The Revenant King", pur non avendo effetto sulla musica, agiscono magnificamente sui testi.
"Dungeon Master" vola ancora più in alto rispetto alla precedente, con una linea vocale accattivante che entrerà nella vostra mente sin dal primo ascolto, oltre al lato strumentale che riporta in vita molti degli dei dell'heavy tradizionale.
"Mammoth Rider" è monolitica, incedente, esaltante, pesante come il passo del mammuth. Finora tre pezzi e nemmeno un calo di qualità per i Visigoth.
"Blood Sacrifice" apre con un malinconico arpeggio di chitarra e delle suadenti linee soliste, per poi lasciare spazio ad una traccia quadrata con assoli funambolici.
"Iron Brotherhood" si riallaccia leggermente come stile a
"Mammoth Rider"; cadenzata, vigorosa, metallo visigoto fuso.
"Necropolis" (cover dei Manilla Road) si presenta come la più breve del lotto. Un pezzo veloce che non lascia spazio a compromessi.
"Vengeance" e
"Creature Of Desire" picchiano duro, mantenendo sempre quell'attitudine old-style che caratterizza il sound dei
Visigoth.
"From the Arcane Mists of Prophecy" è un affresco metallico che in quasi dieci minuti di durata che porta l'album verso il silenzio dopo aver regalato un'ora di eccellente musica.
"The Revenant King" è un ottimo disco dal sapore passato, adatto a tutti i tipi di ascoltatore, ai più vecchi perché ricorderà i tempi andati ed ai più giovani per scoprire le radici del nostro genere. I
Visigoth sono il Metal.
"Dungeon Master"