Diciamoci la verità: a metà anni ’90 era pressoché impossibile non innamorarsi dei
Moonspell.
I lusitani, molto semplicemente, avevano tutto: provenienza insolita, frontman carismatico, aura intellettuale, fascino oscuro e, soprattutto, una progressione discografica inarrestabile.
Il magnifico ma ultra-underground EP
Under the Moonspell, il folgorante esordio
Wolfheart e l’irresistibile svolta gotica di
Irreligious costituiscono ancor oggi un trittico imprescindibile per chiunque brami metal estremo di qualità.
Poi l’ennesima sbandata per le sirene electro d’ispirazione depechemodiana -ogni tanto mi ritrovo a pensare che la band di
Martin Gore abbia influenzato più gruppi dei
Black Sabbath-, qualche passaggio a vuoto e uno scontato ritorno all’ovile hanno un po’ frenato gli entusiasmi per un gruppo che ha comunque trovato da tempo la sua comoda collocazione in fascia medio-alta.
Placidamente assestati uno scalino sotto ai grandissimi nomi in termini di vendite, hype e considerazione generale, ma uno sopra rispetto al nugolo di agguerrite new sensation che popolano il sottobosco della nostra musica prediletta, i
Moonspell continuano imperterriti a sfornare dischi di pregio: dopo
Night Eternal e
Alpha Noir, ci pensa il nuovo nato a ribadire la qualità della compagine portoghese.
Nonostante la continuità che l’ennesimo artwork di
Spiros Antoniou parrebbe suggerire,
Extinct presenta lievi segni di rottura col passato, optando per un generale ammorbidimento del sound.
Il groove sprigionato dalle linee di basso del buon
Aires Pereira è micidiale (grazie anche al sopraffino lavoro dietro al mixer di
Jens Bogren), le melodie posseggono spesso un retrogusto catchy, idem le linee vocali di un
Fernando in ottima forma, mentre keyboards e arrangiamenti orchestrali finiscono spesso per prevaricare le recrudescenze death e black, che in effetti si contano sulle dita di una mano e vengono confinate perlopiù nella doppietta iniziale.
Ciò non costituisce di per sé un male, anche se composizioni abbordabili come
The Last of Us, pompose come
A Dying Breed o poco incisive come
Malignia qualche perplessità la fanno sorgere (in alcuni frangenti, la distanza che separa dal goth rock di
Him e
The 69 Eyes non è molta).
Di alto livello, invece, il resto della tracklist, da cui mi permetto di estrapolare l’orientaleggiante
Medusalem, che ammalia e trascina al tempo stesso, le sinuose tentazioni dark wave di
The Future Is Dark -stupendo anche il guitar solo- e il tenebroso incedere di
Funeral Bloom.
In conclusione,
Extinct può venir considerato l’ennesimo centro, seppur non pieno, di un ex
enfant prodige del metal che non ha mantenuto le promesse d’inizio carriera, ma che ha saputo imparare dai propri errori e costruire una carriera solida e convincente.
Più
Dennis Bergkamp che
Johan Cruijff, ma i tifosi apprezzeranno.