Ricordate le cattiverie che avevo sparato, a seguito di quel dischetto scialbo che era "
Songs From November"? Ricordate quanto fossi combattuto in una sensazione di amore/odio per quello che
Neal Morse, e tutti i suoi progetti, stavano diventando? Per quanto fossi preoccupato per la inesorabile, avanzante, apparentemente inarrestabile somiglianza di ogni cosa che Neal toccasse, dai Transatlantic ai Flying Colors, passando per i suoi dischi solisti ecc ecc ecc?
Bene, finalmente è ora di tirare un sospirone di sollievo.
Il qui presente "
The Grand Experiment" è quello che in gergo strettamente giornalistico, noi addetti ai lavori siamo soliti definire "
Un disco della stramadonna" (pun intended). FInalmente la quadratura del cerchio, il perfetto e talvolta inarrivabile bilanciamento tra la tecnica e l'Ego spesso smisurato di musicisti spesso smisurati, ed ogni volta è un prenderci, giacché dall'equazione potrebbe emergere fuori il disco dell'anno o la ciofeca del decennio. Stavolta, thank god, siamo nell'eventualità 1.
Dopo aver ammirato la stupenda copertina, schiacciamo il tasto play e ci accolgono all'ingresso i dieci minuti di "
Following the Call", aperti da un coro a cappella e da un riff che più prog non si può, ed è già godimento. Uno di quei brani benedetti dagli dei della musica, dove
Mike Portnoy fa il mostro di batterista che sa essere E BASTA, dove
Randy George ha un suono e un tiro che levati, dove Neal si alterna al microfono con il chitarrista
Eric Gillette (dio, che mano, regalerà poesia lungo tutto l'album) e col tastierista
Bill Hubauer, in un equilibrio quasi insperabile di suoni e voci e accenni solistici ed emozione, ché già mi si spellano le mani dagli applausi.
Ma siamo solo all'inizio. A seguire, in rapida successione: la title track, brano muscoloso e Queen-esco nei cori e nelle suggestioni; "
Waterfall", brano delicatissimo e da brividi per il coinvolgimento emotivo che riesce a convogliare; "
Agenda", trascurabile ma piacevole mid-tempo a cavallo tra Beatles e un riffing da heavy metal band. E poi, ladies and gentlemen, il pezzone.
"
Alive Again" è un orgasmo di 26 minuti, che si avviluppa e si dipana intorno/da un motivo portante, che tornerà in mille salse all'interno di un brano che lascia finalmente esplodere senza freni l'incredibile quota artistica di un combo affiatato come non mai. Arrangiamenti in pieno stile prog-rock ma mai banali e raramente puzzanti di già sentito, ci faranno da compagni in un viaggio misterioso, affascinante e mai noioso, per chi avrà voglia, palle e scarpe buone per intraprenderlo.
Finalmente. Questo è il Neal Morse che amo, quello che sa comporre, sa dirigere una banda di musicisti, sa trovare un posto per tutto e a tutto un posto. Se amate il genere, fatelo vostro senza battere ciglio, è già nella mia Top Ten del 2015.