Per onestà devo ammettere che tra i masters of death made in Stoccolma, tra il dissacrante sqadrone della morte composto da
Dismember, Entombed, Grave e
Unleashed, la band di
Hedlund ha sempre avuto per me un posticino più rilevante. Non che gli altri protagonisti della scena siano di poco conto, però, vuoi per attaccamento affettivo, vuoi per una qualità dei lavori costantemente alta e mai deludente (
Hell's Unleashed non lo conto), gli
Unleashed hanno un qualcosa in più. Svelato il mio fanboysmo di cui non frega nulla a nessuno, veniamo a parlare di questo
Dawn Of The Nine, ennesimo disco a cadenza regolare, ennesimo disco che dici "ah però!", con la differenza che stavolta l'esclamazione completa è "Minkia! Hai capito 'sti vecchiacci!".
Svestendo i panni dell'interlocutore da pub e cercando qualche briciolo di serietà, devo ammettere che nonostante confidassi in un album degno del nome della band, mai mi sarei aspettato un (altro) disco così convincente e per diverse ragioni "fresco", da un gruppo di vichinghi il cui capitano si avvicina al mezzo secolo di vita. Fresco perché
Dawn Of The Nine è ispirato, ha pezzi ben distinguibili e porta con se influenze black metal e doom che soffiano una fresca brezza attorno al classico trademark della band, ulteriormente impreziosito da un ottimo riffing e soli classicamente metallici.
Non dovete avere fretta nel valutarlo, ma soprattutto, dovete ascoltarlo tutto per bene e non un solo pezzo.
È un disco che cambia faccia, si evolve, e se la partenza epica e maestosa di
A New Day Will Rise non sembra esplodere, se la seconda
They Came to Die sembra un po' banalotta nonostante incorpori al 100% le caratteristiche del gruppo, è da qui in poi che il viaggio si fa interessante.
Defenders of Midgard inizia con il vento che sbuffa su una marcia minacciosa, prima che parta un mid-tempo oscuro, quasi cinematografico nel suo incedere. La prima perla arriva poi con
Where is Your God Now, pezzone feroce, nero e melodico allo stesso tempo che colpisce con un attacco in blast-beat dal sapore black con leggere tastiere a supporto, poi si snellisce un po' ed il classico suono
Unleashed prosegue legato a doppio filo con un riffing gelido che rimanda a
Dessection e
Naglfar e relative dissonanze, assolo pulito ed il supporto di una seconda linea di chitarra spostata di una terza dalla principale creando un effetto di sdoppiamento tutto da godere. È poi tempo di groove assoluto con il basso slabbrato di
The Bolt Thrower che ospita un assolo ed una parte finale melodica molto interessanti.
Let The Hammer Fly è un'altra bomba (forse il brano migliore) in cui il trademark
Unleashed si mescola a tratti con pennellate black, a metà rallenta e si fa ancora più atmosferica nel finale. Arrivano poi l'epica e sinistra
Where Churches Once Burned seguita da
Land of The Thousand Lakes e le corde del basso ti prendono a schiaffi mentre la bruma cala sulla terra dei mille laghi in un denso e cupo up-tempo scapoccione condito da un lead guitar prolungato. Siamo verso la fine ma c'è ancora spazio per la lenta ed oscura
title track, quasi doom, in cui
Hedlund più che cantare sputa frasi digrignando i denti e dove, prima che il brano si ammosci, si insinua un'accelerazione con annesso assolo molto classic metal. L'ultima
Welcome The Son of Thor, nonostante il titolo altisonante, è "solo" una canzone abbastanza ordinaria col marchio della band impresso a fuoco.
Disco vario e curato dunque, che ospita atmosfere difficilmente descrivibili a parole e che prosegue il sentiero della contaminazione con elementi black e doom intrapreso con i precedenti
Hammer Battalion e
Odalheim. Signori, sapete cosa vi aspetta. Roteate vorticosamente i vostri Mjöllnir e spiccate il volo verso nord.