Improvvisazione, talento, esoterismo, magia, occultismo. Legami liberi, fonti d'ispirazione antiche, difficili da decifrare, come se la loro musica venisse fuori dalle tenebre, come se la brezza della notte calando in un cimitero, soffiasse tra le lapidi le proprie note ammalianti.
Particolare è l'approccio alla musica degli
Hands of Orlac, vi giuro che sono stato rapito da
Figli Del Crepuscolo ma, con questo, non voglio dire che sia un lavoro per tutti.
Migliorata molto rispetto al debut del 2011, complice anche un cambio in line up, la band italiana torna più sicura dei propri mezzi e riesce a scrivere un grande disco di doom sacrale. La formazione è guidata dalla strega
The Sorceress, dalla sua voce magnetica e dal suo flauto ipnotico che a volte ha sì un suono leggermente fuori intonazione, ma sono imperfezioni che rendono tutto più vero. Il cantato è nella lingua della terra d'Albione, non temano dunque gli ascoltatori nostrani che fanno fatica ad apprezzare l'italiano in musica (mi ci metto in mezzo), il titolo del disco è la sola reminiscenza della patria del Sommo Poeta. Con gli
Hands of Orlac ci si abbandona a sensazioni pure, sono musicisti che aprono la mente alle tenebre attraverso una chitarra mai troppo distorta con forti echi di metal classico/proto-metal proveniente idealmente tra il '76 e l'83, danzano sui tamburi di una batteria libera ed ispirata, sorretta dalle onde vibranti di un basso pulsante. Musica che ha punti in comune con quella dei
Blood Ceremony, Jex Thoth, Coven, primi
Black Sabbath, qualche riff coperto di polvere rimasto nei demo dei
Mercyful Fate, niente che possa aggredire con forza, solo onde soniche che sanno entrare dentro e scuotere.
Non è un disco facile, spensierato o che può essere ascoltato con superficialità, è lui che sceglie il momento giusto per essere assorbito; è il disco che ti chiama a prendere parte alla liturgia. Non mi aspetto che mi capiate, spero solo che proviate ad aprirvi. Non abbiate paura di avere paura.
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