Ma guarda un po’ cosa si va a inventare quella “simpatica canaglia” di Scott Ian … mette insieme una
band quasi per scherzo (il progetto nasce durante i festeggiamenti per il suo cinquantesimo compleanno) e consegue contemporaneamente due importanti risultati: ricordare al mondo l’ottimo lavoro svolto da una formazione leggermente sottovalutata e dimostrare agli scettici che i “supergruppi” non sempre sono allestimenti da “laboratorio” voluti e organizzati da scaltri e avidi discografici.
I
Motor Sister, formati dal chitarrista degli Anthrax, dalla sua mogliettina Pearl Aday (che è pure la figlia di Meat Loaf, per la cronaca), da John Tempesta (The Cult, Exodus, Testament, White Zombie, Helmet, …) e da Joey Vera (Armored Saint, Fates Warning), si prefiggono, infatti, di riscoprire il catalogo degli ormai defunti (fino a quando?) Mother Superior, noti soprattutto per aver sostenuto l’inossidabile Henry Rollins nelle sue torrenziali e rabbiose manifestazioni artistiche.
Il coinvolgimento attivo di Jim Wilson, che dei commemorati è stato agitatore fin dagli esordi, rappresenta una sorta di nobile
imprimatur all’intera operazione, trasformata ben presto in questo “Ride", dodici frammenti di viscerale
hard-rock blues prelevati dal ricco repertorio di una di quelle realtà musicali piuttosto stimate e tuttavia mai gratificate da un’affermazione su vasta scala.
Ebbene, unite attitudine e brillantezza compositiva a una generosa competenza esecutiva, e poi immergete il tutto in un crogiolo di passione “sincera” e radicata e otterrete questa “sporca dozzina” di ottime trattazioni soniche, frutto vitaminizzato degli insegnamenti di Cream, Humble Pie, Rolling Stones, Cactus, MC5 e Vanilla Fudge, gravido di
groove e di
good vibrations.
Un programma di ottimo valore complessivo, in grado di conferire nuova vita a belle canzoni (un paio di titoli per tutti, “Pretty in the morning” e “Devil wind”, una sorta di Fleetwood Mac trapiantati a Palm Desert) non molto conosciute e di portarle alla doverosa attenzione dei
rockofili, che potranno eventualmente (ri)scoprire le loro versioni autoctone e apprezzare altresì la “credibilità” di queste trascrizioni, sempre parecchio incisive, energiche e coinvolgenti.
I Motor Sister (
monicker “rubato” a un poderoso pezzo presente nella raccolta …) appaiono, dunque, come qualcosa di più di un semplice
divertissement, tanto da indurmi a sperare che dopo questo “atto di giustizia”, abbiano la voglia (e il tempo …) di proseguire l’attività nel campo delle composizioni inedite … per ora, iniziativa lodevole e bel dischetto.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?