“Strange here II” è l’album più avvincente di questo scorcio del 2015 in ambito
doom metal.
Una valutazione perentoria che però sono certo non sorprenderà gli autentici estimatori del settore, felici ed elettrizzati nel vedere il nome di Alexander Scardavian (in passato collaboratore di Paul Chain e Steve Sylvester, nonché fratello minore di Gilas, l’indimenticabile voce di “17 Day”, del capolavoro del maestro pesarese “Detaching from satan”) tornare agli onori della cronaca discografica sotto un marchio storico come quello della Minotauro Records.
Il secondo lavoro degli
Strange Here, progetto che oggi il nostro condivide con la personalità altrettanto inquieta di Dom Lotito (che qualcuno ricorderà per la militanza negli Error Amplifier), arriva, dopo ben tredici anni dall’esordio, a sancire la differenza che passa tra i molti “imitatori” dell’inestimabile patrimonio
Sabbathiano e i pochi in grado di impadronirsi di quel fondamentale apprendistato e viverlo nel profondo del proprio animo, restituendoci un suono veramente conturbante e “impressionante”, capace di condurre la mente in una cosmogonia di sinistre proiezioni ancestrali, terribilmente fascinose.
Tramite un percorso imprescindibile dai capiscuola di Birmingham, e che tuttavia prevede anche Pentagram, Blue Cheer, Budgie, May Blitz e Amon Duul, i due visionari musicisti e i loro ospiti (menzione speciale per Red Crotalo dei Revenge e per Enri Zavalloni, noto soprattutto per la cooperazione con Mike Patton) trasformano il
blues super-amplificato e la psichedelia in una materia davvero ribollente di forza espressiva, e pur non rinunciando agli schematismi tipici della categoria, dimostrano di conoscere il “segreto” per renderli veri e credibili, oltre che straordinariamente emozionanti.
Riff cavernosi, improvvisazioni lisergiche, ritmiche avvolgenti, voci intrise di acido, frustrazione e morbosità, scandiscono un programma privo di pause, in cui è facile “perdersi”, affidandosi a un’esplorazione emozionale dal denso respiro lirico e metafisico, in una revisione assai intensa e piuttosto personale della storia del genere.
La minacciosa sacralità di “Still alone”, le angosce orbitali di “Kiss of worms” (brano scritto con Chain nel 1990 e che viene registrato su disco per la prima volta), i ferali
mammoth denominati “Born to lose”, “Acid rain” e “Shiftless”, e poi ancora “Black, grey and white”, un gioiellino di straniamento sensoriale, e la sua sodale “Only if …”, una sorta di ballata cosmica di notevole suggestione, tutto insomma, non ultimi i testi mai banali e una gradevole veste grafica, concorre a rendere l’opera un fulgido esempio di
rock antracitico,
pesante e
pensante, che si eleva nettamente dalla chiassosa massa dei proseliti delle tenebre grazie ad un “carattere” nella qualità artistica e attitudinale difficilmente simulabile, rinsaldando la catena (
oibò) di congiunzione con la gloriosa “via italiana” al
dark sound, una “scuola” di cui essere pienamente fieri.
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