Dopo gli ottimi risultati ottenuti recentemente in compagnia di Joe Lynn Turner (Hughes Turner Project) in campo classic hard rock, il monumento vivente Glenn Hughes ha deciso di dedicarsi ad un album solista, allo scopo di dare sfogo a quella che forse resta la sua più grande passione: il funky hard.
E' dagli storici tempi di "Burn" e "Stormbringer" che il bassista/cantante esprime amore incondizionato verso questo tipo di vibrazioni calde e "black" e la sua voce, straordinaria nonostante l'accumulo degli anni, sembra davvero nata per legarsi alla perfezione a tale sound.
Quindi "Soul mover" trasuda funky-rock da ogni singola nota, con quella spolverata anni '70 che non può essere assente dove c'è un così grande protagonista di quell'epoca dorata. Troviamo però altrettanta classe cristallina, una professionalità esemplare, una personalità inconfondibile e ciò che realmente colpisce in positivo è captare la passione, la cura certosina, l'entusiasmo adolescenziale che questo musicista ultra-cinquantenne ha saputo trasferire nel disco, malgrado nella sua vastissima carriera sia stato coinvolto in un numero incalcolabile di progetti musicali.
Va sottolineato comunque il contributo dell'amico chitarrista J.J. Marsh, co-autore di numerosi brani, ed anche la presenza importante di Chad Smith, drummer dei Red Hot Chili Pepper, entrambi carichi delle giuste vibrazioni funky-blues e di tanta voglia di stupire.
Perché stupisce di certo l'elevata qualità media dei brani, illuminati da una vèrve melodica di primissimo piano che si manifesta sin dall'iniziale killer-groove della title-track, nella quale compare come ospite l'altro Chili Pepper Dave Navarro alla chitarra, e prosegue senza interruzioni in tutta la prima parte del lavoro, bollente ed eccitante in maniera ammirevole.
Anche se sarebbero tanti gli episodi da citare, mi limito ad indicare il ritornello conturbante e dannatamente orecchiabile di "She moves ghostly", impossibile da dimenticare una volta ascoltato, la goduriosa ballabilità di "High road" che pare la versione hard rock di Prince, ed incontrastata sulla vetta la meravigliosa "Change yourself", la cui intensità struggente vale da sola l'acquisto dell'opera.
Un suono molto pulito, evidenziato, abbagliante, una produzione al top merito di Fabrizio V.Zee Grossi, allo stesso tempo nulla di prefabbricato, nessun retrogusto di plastica, c'è la matura eleganza di una carriera ai massimi livelli ma anche il feeling sanguigno che sempre ci attendiamo di sentire nei lavori di questo genere.
Se nella parte centrale del disco il grado di emozione ed il mordente calano impercettibilmente, ma era umanamente impossibile il contrario, in coda emergono altre perle succose che stimolano la voglia di risentire tutto da capo. Ad esempio il lento e sofisticato blues "Last mistake" che ha un velato tocco Hendrixiano, oppure la conclusiva "Don't let me bleed" altro formidabile episodio sotto l'aspetto melodico, forse il più vicino a soluzioni di hard rock classico e con una prestazione vocale di Hughes assolutamente incantevole.
Il bravo Glenn può andare fiero della sua ultima fatica, perché si tratta di un centro pieno. Sia che siate fans del personaggio, sia che semplicemente apprezziate l'hard rock di qualità superiore, questo è l'album a cui non si può rinunciare.
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