Inutile girarci attorno … gli
album di
cover rappresentano costantemente dei “riempitivi” nella carriera degli artisti musicali.
Eppure, nonostante tale postulato, ci sono incisioni appartenenti alla categoria più riuscite e significative di altre, vuoi per evidenti abilità (re)interpretative o per uno spiccato valore nell’ambito della riscoperta di formazioni variamente sottovalutate.
Ebbene, “Songs from the black hole”, pur non sfuggendo alla fatale regola, condensa entrambe le succitate note di merito e segnala ancora una volta i
Prong come un gruppo di grande preparazione e sagacia, evidente anche in questa non esattamente fondamentale pratica discografica.
Del resto, è la storia stessa di Tommy Victor a fornire le migliori referenze per garantire l’efficacia di un’operazione che rischia, in altre mani, il puro effetto “nostalgia” … pioniere del linguaggio
crossover,
DJ al leggendario
CBGB’s (“
ho ascoltato un mucchio di esempi di cosa non essere”, dichiarò in una vecchia intervista), personaggio di notevole cultura già avvezzo alla pratica del
remake illuminato (ricordando “Third from the sun” dei Chrome o “Grip” degli Stranglers …), il nostro, sempre più
leader del terzetto
newyorkese, non poteva proprio limitarsi al “compitino”, nemmeno in quest’accessoria circostanza.
E allora accanto alla celebrazione maggiormente “prevedibile” dei Killing Joke (molto bella, comunque, la versione di “Seeing red”), vedere omaggiati Black Flag (“The bars”), Bad Brains (“Banned in D.C.”), Adolescents (con un’eccellente trascrizione di “Kids of the black hole”), Butthole Surfers (“Goofy’s concern”), Hüsker Dü (“Don’t want to know if you are lonely”) e Fugazi (“Give me the cure”) aiuta a rammentare ai
musicofili il modo in cui si dovrebbero affrontare, con una giusta dose personalità, questo tipo d’iniziative, riuscendo al contempo a riportare alla luce nomi più o meno di “culto”, molto importanti per l’evoluzione del
Grande Vecchio R n’ R.
Non male, poi, le modalità selezionate per magnificare la furia nichilista dei Discharge (“Doomsday”), mentre non convince pienamente il trattamento riservato ai The Sisters Of Mercy (“Vision thing”), decurtati nella loro tipica carica torbida ed evocativa.
Sorprende, infine, ma solo fino a un certo punto, un’ispirata parafrasi di “Cortez the killer” di Neil Young, un colosso del
rock apparentemente un po’ lontano dalla sensibilità dei Prong … uno che ha saputo solcare cinque decenni di musica popolare americana, dimostrando di sapersi rinnovare all’insegna della passione e dei sentimenti, rappresenta un fulgido esempio d’inventiva e credibilità assolutamente formativo per ogni musicista intelligente e creativo, e appare dunque il perfetto epilogo anche di questo lavoro dei Prong, che non esito a giudicare “proficuamente superfluo”.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?