Aspro e muscolare il terzo album dei
The Midnight Ghost Train, trio di Topeka, Kansas. Una manciata di brani figli bastardi del blues e dello stoner. Bruschi, ruvidi, a tratti sostenuti da urgenze quasi motorhediane (“Bc trucker”, “No 277”), gli americani lasciano l’iniziativa ai riff fuzz-bluesy e alla voce gutturale, ferale, di Steve Moss, omaccione barbuto che si permette anche momenti da orso-crooner, vedi “The little sparrow”.
Poderosa la ritmica, capace di rendere l’atmosfera quasi tribale e di inspessire le trame e l’atmosfera melmosa (“Gladstone”, “Twin souls, Mantis”). Il songwriting è discreto, migliore dei lavori precedenti, anche se i tre figuri non cercano sicuramente finezze ma badano a mantenere alto il livello del groove stonerizzato.
Possiamo inserire questo nome nella cerchia dei piccoli gruppi underground che crescono come funghi negli States: ad esempio Gozu, Geezer, Wo Fat, Lo Pan, ecc.
Formazioni che rielaborano l’heavy rock in maniera basica, tornando all’essenza dell’hard, del blues, del metal, cancellandone tutti gli orpelli accumulati in decenni di espressioni musicali.
Formazioni poco visibili, ma non per questo prive di qualità.
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